A mezzogiorno di giovedì 19 marzo 2020
Divano Un silenzio che non muta, che durante la notte non è scalfito da rumore alcuno e resta intatto nelle ore inoperose del giorno, dinanzi alle vetrine dei negozi chiusi. Dai palazzi non una voce. Lassù, in alto, il profilo continuo dei cornicioni ritaglia una striscia di cielo senza nuvole che par riflettere il vuoto della strada.
Divano Un silenzio che non muta, che durante la notte non è scalfito da rumore alcuno e resta intatto nelle ore inoperose del giorno, dinanzi alle vetrine dei negozi chiusi. Dai palazzi non una voce. Lassù, in alto, il profilo continuo dei cornicioni ritaglia una striscia di cielo senza nuvole che par riflettere il vuoto della strada.
Mezzogiorno di giovedì 19 marzo 2020 a Roma, in via del Corso deserta. Sul manto d’asfalto grigio, tra la duplice cornice degli stretti marciapiedi, si è posato da giorni un silenzio compatto. È giunto da lontano. Vi è entrato dalle vie laterali, proviene dall’ansa del lungotevere e ha attraversato i rami ancora spogli dei platani. È sceso dalle balze del Pincio espandendosi nelle corti alberate di via Margutta e refluendo dalla scalinata di Trinità dei Monti.
Un silenzio che non muta, che durante la notte non è scalfito da rumore alcuno e resta intatto nelle ore inoperose del giorno, dinanzi alle vetrine dei negozi chiusi. Dai palazzi non una voce. Lassù, in alto, il profilo continuo dei cornicioni ritaglia una striscia di cielo senza nuvole che par riflettere il vuoto della strada. Affacciato alla finestra, se volgo lo sguardo sulla mia destra, scorgo, oltre la bocca del Corso, la luce piena della piazza del Popolo. Batte dorata sul color sabbia dell’obelisco. Illumina la pallida stella dello stemma di papa Chigi, al sommo dell’ornamento nuovo della antica porta Flaminia che Lorenzo Bernini concepì, segno di benvenuto rivolto da Alessandro VII alla regina Cristina di Svezia, il 23 dicembre del 1655. Vedo che l’accesso alla piazza è presidiato da alcuni mezzi militari e da soldati in tuta mimetica, il mitra imbracciato.
Ed un secondo posto di blocco armato è attivo all’altezza della chiesa dei santi Ambrogio e Carlo, sulla mia sinistra, ove si custodisce da quattrocent’anni la preziosa reliquia del cuore del santo Borromeo. È la chiesa, fin dai primi del Seicento, della ‘nazione’ dei Lombardi a Roma, costruita e abbellita negli anni di Milano martoriata dalla peste. Quella «peste – dice Manzoni – che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia».
Sono, ripeto, affacciato a una finestra che si apre di fronte ai travertini della basilica di san Giacomo in Augusta che, sul lato del Corso, chiude la grande isola quadrangolare costituita dagli edifici dell’Ospedale di San Giacomo degli Incurabili: «da alcuni anni, da varie parti del mondo – recita la bolla papale di Leone X datata 19 luglio 1515 – confluiscono a Roma poveri infermi colpiti da morbi incurabili in così gran numero che non trovano ricovero negli Ospedali, e molti di loro, privi di soccorsi, finiscono per morire abbandonati». Da alcuni anni, quasi venti ormai, dopo tanto giro di secoli, il grande complesso ospedaliero non è più attivo, né in alcun modo presidiato.
Meglio dire che l’imponente fabbrica è abbandonata ad un progressivo e ben evidente degrado del quale nessuna autorità pubblica si preoccupa. Gli intonaci dilavati del prospetto lungo via Canova e l’aggetto dei cornicioni che si sgretola. Sono cresciute dentro le grondaie tenaci erbe spontanee e vegetano qua e là tra i coppi dei tetti. È da credere che, quando piove, l’acqua si insinui da certi cretti e coli sui pavimenti delle vaste corsie (la più ampia era lunga duecento metri ed accoglieva centosei letti). Sul retro, in via Ripetta, il portichetto della chiesa di Santa Maria in porta paradisi protetto da una cancellata è oggi un deposito di immondizie e, da sotto la lapide che ricorda la Vergine «liberatrice dalla pestilenza nell’anno del Signore 1523», nessuno le porta via. Indigna la colpevole, indefettibile inadempienza di sindaci, presidenti di Regione e ministri da vent’anni in qua.
Unico esercizio ancora oggi in funzione nel corpo dell’Ospedale è l’antica Farmacia di San Giacomo. È aperta. Leggo sullo schermo che si accende sotto la croce verde dell’insegna, scritte luminose: «La Farmacia è aperta dal lunedì alla domenica. Orario continuato 8:30-20:00».
E poi, in successione, avvisi come: «Disponibile Vitamina C. 1 grammo». E: «Gel mani. 500 ml. Offerta. 1 pezzo euro 9,90. 2 pezzi euro 17,80». E ancora: «Disponibile Naturocillina Spray. Immunology system». Lascio la finestra e la chiudo. Accendo la televisione. Alle ore tredici di oggi, 19 marzo 2020, la prima notizia riporta il numero dei contagiati (ventottomila settecento dieci) e dei morti (duemila cinquecento undici), stando agli ultimi aggiornamenti.
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