La data d’inizio c’è: venerdì. La location pure: Villa Pamphili. La durata invece è incerta. «Gli Stati generali inizieranno tra venerdì e sabato per proseguire poi la prossima settimana», annuncia vago il ministro per i Rapporti con il parlamento D’Incà. Fino a quando? «Ci sarà un confronto serrato e da lì nascerà un prolungamento dei lavori», spiega D’Incà ermetico.

Buio anche sulle presenze sul palco. Le associazioni di categoria e le parti sociali, ovvio, sfileranno tutte. L’opposizione, che nell’ultima versione del calendario dovrebbe aprire lo show, ieri pomeriggio non aveva ancora deciso. Gli inviti sono arrivati solo in tarda serata, qualche dubbio c’è, ma alla fine si presenteranno tutti anche se non è chiaro chi salirà sul palco. L’unico che si esibirà di certo è Berlusconi.

Le critiche di Fi e soprattutto di Giorgia Meloni («I miei Stati generali sono in parlamento») del resto trovano sponda addirittura nel Pd, con Marcucci che ricorda al premier che gli Stati sono utili, figurarsi, ma le decisioni spettano alle camere. Tanto per scagliare la millesima pietra.

RIDDA DI VOCI sugli ospiti d’onore. Pare di trovarsi alla vigilia di Sanremo più che di un super vertice riunito per fronteggiare la crisi peggiore. Il presidente del Parlamento europeo Sassoli dovrebbe esserci di certo, meno sicuro l’arrivo della guest star numero uno, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione. C’è chi spera in una performance di Mario Draghi, quella sì che sarebbe roba forte, e chi profetizza l’arrivo di «un paio di premi Nobel». I nomi non contano, purché possano vantare il pregiato premio.

Particolari di colore, in fondo. Quel che importa è come si articoleranno i lavori e logica vorrebbe che a dare il la fosse un’ipotesi avanzata dal governo. Che forse ci sarà. «Ci stiamo orientando a non presentarci con un foglio bianco ma con una nostra proposta», annuncia il ministro Provenzano.

Tenendo conto che l’orientamento in questione risale a ieri pomeriggio, Conte ha meno di tre giorni per sfornare una strategia in grado di rilanciare il Paese dalla crisi economica più grave. Il rischio che venga fuori un progetto un filino abborracciato è difficile escluderlo anche per i fans più sfegatati, ma tant’è. Ieri il premier ha iniziato una serie di incontri bilaterali con vari ministri Pd e 5S. Proseguirà oggi con Gualtieri. Poi c’è il Piano Colao, dal quale qualcosa si può prendere. Insomma, una proposta la si proverà ad accorpare.

IL PROBLEMA È CHE la relazione della task force Colao complica più di quanto non faciliti. Perché non piace a nessuno. Solo alla Lega, che la definisce «un collage dei nostri emendamenti». I commenti sono quasi tutti diplomatici e prudenti. Fioccano i riferimenti agli «spunti interessanti». Ma anche se il solo a dire chiaramente che il Piano va rimesso nel cassetto è per LeU Fratoianni, basta avere qualche dimestichezza col lessico di palazzo per decodificare e tradurre in bocciatura secca.

Le suggestioni vanno bene a tutti, ma sono appunto solo suggestioni. Le proposte invece sono urticanti per quasi tutti, in particolare la raffica di condoni che fa venire la pelle d’oca a LeU e ai 5S, impegnati peraltro anche loro a buttare giù una proposta che faccia da pezzo forte pentastellato a villa Pamphili. Non a caso, tra gli ospiti degli Stati generali dovrebbe non figurare proprio Colao, siglando così ufficialmente un incidente che tracima nel grottesco.

PROPRIO PERCHÉ SAPEVA come sarebbe stata presa la proposta dalla sua maggioranza, Conte, nel vertice di lunedì sera, si è tanto infuriato per la fuga di notizie. Le 121 slide di Colao erano state spedite solo ai ministri, ma da qualche dicastero il documento è partito per le redazioni e il premier è sbottato. Non è chiaro cosa sarebbe cambiato se il silenzio stampa reclamato invano da Conte fosse stato rispettato. A meno che il premier non mirasse ad accogliere in anticipo il consiglio di Fratoianni, dimenticando in un cassetto blindato lo scomodo documento. Come fuga di notizie, va detto, quella sull’intemerata contro «i pezzi di Stato che remano contro» è senz’altro più imbarazzante. Conte, ieri, si è affrettato a smentire ma il nervosismo estremo è evidente.

Tensione giustificata. In questa caotica incertezza una cosa è chiara: i 5S non hanno cambiato idea sul Mes. Persino il viceministro Sileri, bersagliato per aver aperto un ampio spiraglio in tv, è stato costretto a un’imbarazzante retromarcia: «Non è la strada da percorrere». Si vede che al suo posto, qualche giorno fa, c’era un sosia.