Stasera ci sarà il derby di Milano ma si giocherà a Riyadh, per la Supercoppa italiana. Qualche giorno fa si è volta lì la Supercoppa spagnola, in attesa dell’esordio di Cristiano Ronaldo con la maglia dell’Al-Nasr contro Leo Messi, che incidentalmente è anche ambasciatore del turismo dell’Arabia Saudita.

IL CALCIO internazionale si sta spostando in massa nel paese sul Golfo Persico, poche settimane dopo la Coppa del Mondo ospitata dai cugini poco amati del Qatar. L’artefice dell’operazione-football è conosciuto: Mohammed bin Salman suona familiare a qualche politico italiano. Per tutti gli altri: è il rampollo della famiglia reale saudita, principe ereditario e attualmente Primo ministro del paese. Patrimonio da 400 miliardi di dollari, è uno dei signori del petrolio del paese che produce circa il 10% del fabbisogno quotidiano mondiale di greggio.
Bin Salman vuole trasformare, attraverso il calcio e lo sport, il paese saudita dal regno degli idrocarburi nell’attrazione turistica più ricercata a livello mondiale. La transizione dovrebbe avvenire, nei piani del principe, entro almeno dieci anni: l’arco temporale in cui, almeno sulla carta, dovrebbe man mano andare a scendere la richiesta di petrolio sul mercato internazionale. E quindi c’è l’all-in sullo sport washing, ovvero sulla pulizia dell’immagine dell’Arabia Saudita quale paese che sopprime i diritti umani attraverso l’organizzazione di grandi eventi sportivi. Bin Salman ha messo gli occhi sui Mondiali di calcio del 2030. Anche perché c’è da rispondere ai qatarioti.
Già da qualche anno la Supercoppa italiana si gioca in Arabia. Forse si chiuderà un altro accordo di tre anni, per 150 milioni di euro. Il calcio piace parecchio al principe, il successo dell’Arabia Saudita sull’Argentina ai Mondiali l’ha esaltato al punto da concedere sette giorni di festa nazionale.
Il passo in avanti, forse decisivo, per il salto definitivo nel disegno di Salman è l’arrivo di Cristiano Ronaldo all’Al-Nasr. E poco importa dell’entità dell’ingaggio del portoghese, circa 200 milioni di dollari annui, tra parte fissa e variabile. Ronaldo, così come Messi che incassa dieci milioni l’anno per invitare i turisti tra le bellezze saudite, sono pezzi dell’ingranaggio per ottenere i Mondiali e rendere entro quella data l’Arabia Saudita una «Mecca» del turismo, nascondendo i punti oscuri. L’Arabia è nella lista nera di Amnesty International, è il quinto paese più autoritario al mondo secondo l’«Economist», è il paese in cui c’è una certa tendenza a silenziare il dissenso, tra esecuzioni capitali e omicidi (il giornalista Jamal Khashoggi) che hanno occupato il dibattito internazionale.
Non si bada a spese, quindi. Per rendere l’idea: l’Arabia Saudita si è assicurata l’edizione dei Giochi invernali asiatici del 2029, a Tojena. Sarà il primo paese dell’Asia occidentale a organizzare l’evento. La neve nel deserto. C’è un dettaglio: Tojena al momento non esiste, sarà edificata interamente entro quella data, per un investimento da 500 miliardi di dollari, oltre il doppio di quanto è costata la Coppa del Mondo in Qatar.
Nel progetto-calcio di bin Salman è entrato lo scorso anno il Newcastle, club ricco di storia del calcio inglese. Attraverso il fondo sovrano saudita, il principe ha speso 360 milioni di euro ed è stato contestato quasi dall’intera Premier League. Anche tra i tifosi ci sono stati mugugni per la sua reputazione, ma dopo qualche mese e centinaia di milioni investiti sulla squadra, si sono convinti tutti.

PER DIVENTARE un polo turistico però la reputazione saudita necessita di diversi passaggi in lavatrice. Così gli investimenti sono stati a svariati zeri anche in altre discipline. Oltre il calcio, è stato il golf ad attirare maggiormente il principe, che nel 2022 si è inventato la LIV Golf, un circuito alternativo a quello più importante a livello mondiale (il Pga Tour). Una specie di Champions League del green. Il primo evento si è tenuto a Londra con montepremi da 25 milioni di dollari. Hanno aderito alla nuova e facoltosa creatura alcuni fenomeni del golf come Dustin Johnson o Phil Mickelson, entrambi si sono visti offrire 100 milioni di dollari cash per lasciare il Pga Tour ed emigrare in Arabia Saudita. Solo Tiger Woods si è ribellato alla lega di bin Salman, rifiutando un accordo da quasi un miliardo di dollari. Ma Woods è miliardario da anni, è una specie di zecca di stato, e si è potuto prendere il lusso di negarsi al principe.
Oltre al golf, sugli appunti di bin Salman c’erano anche i motori, la F.1, poi l’ippica, il wrestling, la boxe, gli sport elettronici. Notorietà, visibilità, un giro d’affari abbagliante. Un magnete per i turisti. E un sollievo per il principe, che in concomitanza con i Mondiali ha constatato con soddisfazione che il Dipartimento di Giustizia americano abbia richiesto per lui l’immunità nell’ambito del procedimento avviato dalla fidanzata di James Khashoggi, ucciso – come emerso da un’indagine dell’intelligence americana – da uno squadrone della morte a Istanbul, su ordine proprio di bin Salman.