L’economia italiana «decelera». Lo dice la Nota mensile dell’Istat. L’Istituto di statistica evidenzia, in particolare, come gli ultimi dati sulla produzione industriale, il persistere dell’inflazione e i deficit della bilancia commerciale (da gennaio a maggio -10,7 miliardi di euro), nonché «il marcato peggioramento della fiducia dei consumatori», possano determinare «rischi al ribasso per l’evoluzione congiunturale» (da qui a fine anno).

Nel secondo trimestre di quest’anno, il pil italiano, in controtendenza col quadro europeo, ha fatto registrare una significativa accelerazione (+1%). Hanno trainato l’industria e i servizi. Con conseguente miglioramento del mercato del lavoro (tasso di occupazione al massimo dal 1977, 60,1%). Se negli altri due trimestri la variazione congiunturale fosse pari a zero, la crescita del pil quest’anno sarebbe del 3,4% («crescita acquisita»). Più di quanto ha stimato il Fondo monetario internazionale. Effetto del «rimbalzo», ma anche della vivacità del settore delle costruzioni (tra marzo e maggio l’indice di produzione ha fatto registrare un aumento medio del 4,7%, grazie al Superbonus 110%).

Ma il vento si può dire che è già cambiato. Lo stesso istituto di statistica rileva che a giugno, per il secondo mese consecutivo, l’indice destagionalizzato della produzione industriale ha fatto registrare una significativa flessione: -2,1%. E che una diminuzione si registra anche in termini tendenziali (anno su anno). Una dinamica che investe quasi tutti i settori produttivi, con la sola eccezione di quello energetico (spicca la produzione carbon coke).

Per questo, «nei prossimi mesi si attendono flessioni dell’attività manifatturiera accompagnati da una moderata vivacità nei servizi». Pesa l’instabilità e il deterioramento del quadro internazionale. Le prospettive della domanda mondiale sono in peggioramento, l’economia cinese arretra (-2,6% nel secondo trimestre), quella americana è già in recessione tecnica, Bank of England stima che la recessione in Gran Bretagna durerà tre anni. Guerra, sanzioni, nuove tensioni geopolitiche, strozzature nelle catene di approvvigionamento, prezzi delle materie prime energetiche ed alimentari, inflazione, speculazione. Tutto ciò che influisce, tra l’altro, sulle aspettative di imprese e famiglie. «La fiducia delle famiglie – conclude la Nota – ha mostrato un ulteriore peggioramento diffuso a tutte le componenti». Inoltre, «dal lato dell’offerta, la ripresa dei ritmi produttivi potrebbe indebolirsi nei prossimi mesi, mentre dal lato della domanda, la caduta della produzione di beni strumentali di giugno potrebbe anticipare un rallentamento nei piani di investimento delle imprese». La flessione della fiducia delle famiglie, infine, «spingerebbe a comportamenti di consumo più cauti».

Previsioni che combaciano con quelle della Commissione europea, che da poco ha diffuso i dati dell’Esi (Economic Sentiment Index), l’indicatore che misura il sentimento economico in ambito Ue (un crollo di cinque punti). Torna alla mente Keynes: «Il livello della produzione e dell’occupazione dipende dall’ammontare dell’investimento, data la psicologia della gente».

Intanto, i nuovi dati sul mercato del lavoro americano spingono per un altro giro di vite della Fed. A luglio i posti di lavoro sono aumentati di 528 mila unità, con la disoccupazione che scende al 3,5% (ai minimi dal 1969). Troppi, per un mercato che se ne aspettava non più di 250 mila.

Non sono compatibili con l’andamento dell’inflazione (la curva di Phillips). E non piacciono alle borse. Si rischia una spirale prezzi/salari. Nuove «leggi bronzee» del capitalismo. Per l’Italia, il rischio che si contragga il principale mercato di sbocco delle sue merci. Sarà anche per questo che Draghi vede «nuvole all’orizzonte». Consapevole, in ogni caso, che un pezzo del nostro futuro economico rimane appeso alle decisioni di Putin sulle forniture di gas.