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A Favignana la pesca non è più una tonnara

A Favignana la pesca non è più una tonnaraLa barca dell'ultimo raìs Gioacchino Cataldo – Piero Papa

Reportage Il 21 luglio è morto Gioacchino Cataldo, l’ottavo Raìs. Undici anni fa l’ultima mattanza. Ora l’isola si regge su ambiente, pesca sostenibile e turismo

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 26 luglio 2018

E’ il 2007 l’anno in cui la secolare tonnara di Favignana recita il suo requiem. L’ultima mattanza si chiude con un ricavato di poco meno di cento tonni che vengono venduti in massima parte fuori dall’isola. Una targa all’interno del vecchio stabilimento riporta la pesca e la lavorazione di 10.159 tonni nel 1859. L’antico legame di quest’isola con la pesca del pregiato sgombride è già evidente avvicinandosi al porto. I tre alti camini dell’impianto fanno da sfondo all’insenatura e il vuoto dei magazzini con le aperture a mare è riempito dal solo eco della risacca.
Quella di Favignana è stata l’ultima tonnara attiva delle 65 un tempo presenti lungo la costa siciliana. La più grande del Mediterraneo, estesa per 34 mila mq di superficie, e anche la più produttiva, con mattanze anche di 10 mila tonni per stagione. Acquistata e rinnovata dalla famiglia Florio nel 1874, questa struttura evidenzia la relazione della gente dell’isola per il tonno rosso Thunnus thynnus. Uno stabilimento con oltre 800 dipendenti che lavora e inscatola stagionalmente il tonno, ma anche il pesce azzurro proveniente dal nord Europa. Un’azienda all’avanguardia e tra le più innovative, in cui gli operai hanno diritti sindacali e un asilo nido interno per i propri figli. La sua più recente storia, fatta di passaggi di proprietà, errati investimenti e, non da ultimo, la diminuzione del pescato, ha ridotto la produzione, fino alla definitiva chiusura nel 1982. L’imprescindibile legame tra Favignana e il suo tonno si è lentamente dissolto. La tonnara, come sistema di sola cattura, ha poi continuato a lavorare fino al 2007 con il tonno venduto ad aziende conserviere fuori dall’isola. Anche la vita intorno alla mattanza è cambiata. Da importante evento economico, sociale e culturale per tutti i pescatori di Favignana, si trasforma in un appuntamento mediatico per turisti e curiosi attratti dalla sua spettacolarità e cruenza.

LA PESCA AL TONNO DEL MEDITERRANEO si è completamente trasformata e ha smarrito l’indubbio fascino e la sostenibilità dettata dall’esperienza e lungimiranza dei vecchi tonnaroti. Il tonno rosso è diventato un grande affare i cui soggetti principali sono le multinazionali, le grandi tonnare a circuizione e le quote di pesca – il tutto per alimentare essenzialmente il remunerativo commercio verso il Giappone. Un gioco di interessi troppo alto e complicato per la piccola Favignana, che oggi ha perso l’antico diritto alla pesca del suo tesoro. Oggi tutti i battelli della tonnara sono lasciati a dissolvere il fasciame nei precari magazzini del porto, e le ancore, a cui era fissata la «camera della morte» e più di 8 km di reti, ad arrugginire sulla spiaggia dell’antico stabilimento. Nel 1991 è stata istituita intorno al mare di Favignana, Levanzo e Marettimo la più estesa Area marina protetta del Mediterraneo. Per una migliore gestione delle risorse ittiche e per la tutela dei suoi fondali. È suddivisa in quattro zone, ciascuna con un differente livello di protezione e fruibilità. Area di tutela integrale, in cui la pesca è vietata, e le immersioni e il transito delle imbarcazioni sono sottoposte ad autorizzazione; riserva generale, dove è consentita la pesca e l’ancoraggio ai soli residenti locali; riserva parziale, in cui è possibile l’ancoraggio e la piccola pesca anche alle marinerie non residenti. Pietro La Porta, tecnico dell’Amp, esprime soddisfazione per questo tipo di gestione. «L’evidente risultato è stato quello di trasmettere ai residenti delle Egadi una maggiore consapevolezza e responsabilità per le risorse del mare; adesso sono gli stessi pescatori, addetti ai diving o al barca turismo che ci segnalano trasgressioni e problematiche all’interno dell’area».

OLTRE AD ESSERE LA PIÙ GRANDE RISERVA MARINA, quella delle Egadi è anche la più virtuosa in fatto di gestione dei fondi e capacità di autofinanziarsi, tanto da coprire, con gli introiti prodotti, circa la metà della spesa annuale. «Siamo passati da una fase iniziale in cui l’Amp era vista solo come un vincolo per la popolazione, a una più avanzata capace anche di attrarre investimenti e fare del marketing» afferma ancora Pietro.

DALLA GESTIONE DELLA POSIDONIA OCEANICA, pianta endemica del mar Mediterraneo, la riserva riesce a ricavare delle royalties a supporto delle attività di tutela. È il caso della raccolta autorizzata delle piante che si staccano naturalmente dal fondo, utilizzate per la produzione di creme idratanti e antiage. Per proteggere i fondali coperti da questa pianta dalle ancore delle imbarcazioni che stazionano alla fonda, la riserva ha anche realizzato degli appositi campi di ormeggio a pagamento con boe fisse galleggianti. In tal modo si evita che diving e battelli turistici utilizzino l’ancora nelle baie più frequentate e con maggiore copertura di posidonia.

Ma nell’economia delle isole Egadi, ormai dipendente dalle attività ricettive e di servizio al turismo, trova ancora un suo spazio la piccola marineria locale, con circa 40 imbarcazioni. Il centinaio di addetti impegnati nella pesca sono certamente una importante categoria di cui bisogna tener conto per la gestione della riserva ittica e per la loro valorizzazione come patrimonio sociale e culturale dell’isola. Daniela Sammartano potrebbe rappresentare un anello di congiunzione tra il passato e il presente di Favignana, in cui la pesca, il turismo e la tutela ambientale provano a convivere nello stesso mare. Laureata in scienze naturali, Daniela lavora per l’Amp ed è nipote di Gioacchino Cataldo, l’ultimo Rais delle Egadi – l’uomo che ha guidato la tonnara dal 1996 fino alla sua chiusura nel 2007. Con una soddisfazione tutta personale racconta di un pescatore che di recente gli aveva confidato di sentirsi più protetto dalla presenza della riserva marina. «Posso certamente dire che il rapporto dei nostri pescatori con il mare sta diventando più consapevole grazie alla collaborazione e coinvolgimento nei nostri progetti, in particolare il FishMPABlue2, dedicato alla pesca sostenibile e alla corretta a gestione degli stock ittici nei paesi comunitari», aggiunge Daniela. In tutti i mari sono molte le specie pescate al massimo delle proprie capacità, e i pesci catturati sempre più giovani e di piccola taglia, spesso senza che abbiano ancora compiuto il loro primo ciclo riproduttivo. A fronte dell’evidente calo di produttività del mare, la pesca è però diventata sempre più aggressiva e meno selettiva verso la risorsa. Nel Mediterraneo l’85% di essa è effettuata su piccola scala che, con circa 137.000 pescatori, riesce ancora ad avere un importante ruolo socio economico per le comunità costiere. Un loro coinvolgimento in metodologie di pesca più sostenibili andrebbe certamente verso una moderna gestione della risorsa, con l’obiettivo di un pescato costante e di maggiore qualità. Il progetto FishMPABlue2 ha individuato 11 aree marine protette tra Spagna, Francia, Slovenia, Croazia, Grecia e Italia in cui testare nuovi modelli di pesca da esportare in seguito alle marinerie del Mediterraneo. Giampiero Sammuri è il presidente di Federparchi, ente capofila che coordina tutte le attività collegate al FishMPABlue2, e crede intimamente in questo nuovo approccio al concetto di tutela: «Le Aree marine protette costituiscono un prototipo per la pesca sostenibile, e le aree protette in genere, eccellenza del nostro paese, sono il punto avanzato per la tutela della biodiversità e per ogni utile esperienza di sviluppo eco-compatibile».

CHI SEGUE I PESCATORI DELLE EGADI in questo percorso è la biologa Ilaria Rinaudo: «Nel 2017, con una partecipazione pressoché totale, i nostri pescatori hanno svolto oltre 30 uscite per il censimento di cetacei e tartarughe, che insieme ai normali avvistamenti comunicati durante l’attività di pesca, tengono aggiornato un database sulla distribuzione della fauna marina dell’arcipelago. Cerchiamo di arrivare ad una esclusiva co-gestione della riserva con i pescatori, che sono la categoria professionale tradizionalmente più importante delle nostre isole». Rosario, tonnaroto da giovane e pescatore da sempre, si ricorda di quando ad ogni uscita si rientrava con un pescato che permetteva di sostenere tre famiglie e che copriva le spese del peschereccio. «Sono anni che il pesce è diminuito intorno a Favignana, e ci sono giorni in cui le reti rimangono vuote», mi dice con tono preoccupato. «Per molti anni in questo mare non c’è stato alcun criterio e controllo sulle attività di pesca, e molte imbarcazioni, per aumentare il pescato, hanno utilizzato reti e ami fuori da regolamenti e autorizzazioni».
Rosario è anche uno dei pescatori di Favignana che affiancano alla tradizionale attività, anche quella di pesca turismo. Quasi tutte le mattine d’estate esce in mare con un gruppo di turisti con cui condivide la giornata lavorativa. Si salpano le reti, si seleziona il pescato, lo si cucina a bordo, e si trova anche il tempo per un tuffo nelle baie più belle dell’isola. «A volte i delfini seguono il peschereccio e catturano il pesce dalla rete, bucandola, prima che la riesca a salpare a bordo. I turisti impazziscono a vederli così da vicino. Nell’ultimo decennio si osservano sempre più di frequente sotto costa: forse perchè sono più tutelati, o forse perchè a largo non c’è pesce neanche per loro. E questo sarebbe davvero triste», conclude Rosario, abbassando gli occhi in direzione della cassetta del pescato di giornata.

È MATTINO QUANDO INCONTRO sul molo di Favignana Clemente Ventrone, uno degli ultimi tonnaroti dell’isola. Lo riconosco per la capigliatura lunga e chiara, che lo rende un inconfondibile uomo di mare e che, in tutte le vecchie foto della tonnara, si nota sempre a fianco del Rais. Il suo sguardo è fisso oltre l’insenatura del porto, in direzione di Punta San Leonardo, dove tonnaroti e tonni si davano appuntamento tra le reti della tonnara. Il vento di tramontana increspa appena le acque in quel braccio di mare, e scuote i capelli bianchi di Clemente. Porta sempre un ricordo ancora vivo – la voce del Rais, che in quel blu profondo, saluta il sole all’alba della prima mattanza: «A livanti s’affaccia lu suli… aja mola, aja mola».

LA NOTTE DEL 21 LUGLIO si è spenta la luce anche su Gioacchino Cataldo, il Rais della tonnara di Favignana fino al 2007, anno in cui si è svolta l’ultima mattanza dell’isola. Pescatore da sempre e tonnaroto nell’animo, Gioacchino ha sempre rappresentato, con una sensibilità fuori dal comune, l’antica arte della tonnara – le sue storie, gli aneddoti e una profonda semplicità lo faranno ricordare come tra i più illustri uomini del suo mare. Chiunque sia stato a Favignana ha conosciuto o sentito parlare dell’ultimo Rais, l’ottavo della storia dell’isola, e dei suoi tonnaroti, testimoni viventi di un mondo che la nostra società ad economia globale ha colpevolmente messo da parte. Per la sua attività di custode e divulgatore delle ultime tradizioni legate alla cultura del tonno a Favignana, nel 2006 è stato inserito, con l’approvazione dell’Unesco, tra i Tesori Umani Viventi nel Registro delle eredità immateriali della Regione Sicilia.

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