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A est di Elvis

A est di ElvisEddie Mesa (a sinistra) e Elvis Presley

Cloni/Una sfilza di cantanti che impersonano il «re del rock’n’roll», dalle Filippine a Hong Kong Il successo clamoroso di Eddie Mesa e quello di Mr. Matu, più acclamato dello stesso «King». Occhio agli abiti di scena di Melvis

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 maggio 2023

Elvis di Baz Luhrmann è stato un successo mondiale: su un budget di circa 85 milioni ne ha incassati ben 300. Un incasso straordinario specialmente considerato che il cinema del post lockdown riesce a portare risultati soltanto quando in scena ci sono dinosauri, supereroi e grandi effetti speciali. Stavolta però viene raccontata la vita romanzata di un cantante, Elvis Presley, che, a distanza di ben 46 anni da quel tragico 16 agosto 1977, giorno della sua morte, non ha mai smesso di incendiare i cuori dei tanti fan. «Prima di Elvis non c’era niente», aveva confessato John Lennon. «Ascoltare Elvis per la prima volta fu come scappare di prigione», sono parole di Bob Dylan. La sua leggenda è immortale: più di un miliardo di dischi venduti in tutto il mondo, 68 singoli nella Top 20 di Billboard tra il 1956 e il 1977, unico artista nella Hall of Fame in quattro categorie. C’è persino qualcuno che non crede alla sua morte ma che lo vorrebbe esule da quella fama che per il divo era divenuta un tormento.
Effettivamente, in qualche modo, Elvis non se n’è mai andato. Anche perché si contano, in tutto il mondo, tantissimi suoi sosia, persone che si vestono come lui, partecipano a contest e persino scrivono canzoni in stile Presley. Il più grande raduno di imitatori del cantante si è tenuto il 12 luglio 2014 quando quasi mille sosia si sono riuniti nell’Harrah’s Cherokee Casino Resort nella Carolina del Nord. Tanti, i più, si fermano a una carriera da cosplayer, a esibizioni parodistiche nelle sagre o nei concorsi, ma altri hanno intrapreso una carriera parallela nel mondo del cinema o della musica riuscendo, a loro modo, ad emergere dall’ombra di un gigante.

ANNI SESSANTA
Elvis Presley è indubbiamente il divo più imitato della storia. Un impeto emulativo che già all’inizio degli anni Sessanta in Francia colpiva Johnny Hallyday, in Inghilterra Vince Taylor e negli Usa un vero esercito di sosia. Nell’Italia canterina degli anni Sessanta il re del rock contagiò tre artisti di primo piano: Little Tony, Bobby Solo e Michele. Lo stesso Presley amava la nostra musica, soprattutto quella classica e lirica. Nacquero perciò It’s Now or Never che raggiunse la vetta delle classifiche, ovverosia la versione in lingua inglese del classico ’O sole mio, e Surrender, cover personalissima di Torna a Surriento, anch’essa una hit. Elvis cantò persino in italiano la classica Santa Lucia nel film Viva Las Vegas, e portò negli States le cover di Io di Domenico Modugno come Ask Me (1964) e di Io che non vivo (senza te) di Pino Donaggio come You Don’t Have to Say You Love Me (1970), ispirandosi però in questo caso più probabilmente alla versione di Dusty Springfield del 1966.

AL CINEMA
Il cinema filippino è ancora una chimera da studiare, soprattutto quello degli anni Sessanta con film di tutti i generi spariti dalle varie programmazioni tv, mai usciti in nessun supporto e vivi soltanto nella memoria degli spettatori. Eduardo de Mesa Eigenmann, meglio conosciuto con il suo nome d’arte di Eddie Mesa, è stato uno degli attori e cantanti più iconici di questa cinematografia, con ben 64 pellicole all’attivo, e la fama di «Elvis Presley delle Filippine», capace di focalizzare con il suo rock and roll le platee non diversamente dal suo modello ispiratore. Basta vederlo irrompere nel dramma adolescenziale del 1964 Hangga’t may hininga di Jose Miranda Cruz, per capire la differenza tra lui e i tanti imitatori che, in quegli anni si affacciavano, alla ricerca del successo. Il nostro, strillato nei cartelloni come una guest star, è in scena il tempo di cantare la spumeggiante Have I the Right davanti a una folla di idolatranti fan, restando forse la cosa migliore di un film che cerca di unire senza riuscirci la rabbia giovanile di Gioventù bruciata (1955) con i musicarelli.
Eddie Mesa ha stile, una voce che non arriva alle tre ottave di Elvis, ma ne esce sconfitto molto bene. Hollywood lo richiede nel dramma di guerra La sfida dei marines (The Raiders of Leyte Gulf) del 1962, diretto dal maestro dell’exploitation filippino Eddie Romero, ma, sebbene la sua performance, stavolta non canora, sia ottima, il film non ottiene molto successo. Meglio allora ricordarlo come Elvis esotico in pellicole spensierate come Basta Kantahan: Sila o Kami? (1965) di Jose «Pepe» Wenceslao, ma soprattutto in Las Vegas à go-go del 1967, sorta di risposta orientale al Viva Las Vegas di tre anni prima interpretato dal vero Presley. Le performance attoriali di Eddie Mesa sono spensierate, ma, quando attacca a cantare, le cose cambiano: la musica impreziosisce opere che non avrebbero neanche meritato una prima visione. Il suo è un sound certo d’imitazione, orecchiabile e scatenato come il rockabilly dei modelli inarrivabili dell’epoca, ma eseguito con una grande passione, questa sì davvero contagiosa. Oggi vive negli Stati Uniti con la moglie, l’attrice Rosemarie Gil, ed ha cambiato vita diventando un predicatore. La via del rock d’altronde passa anche per l’alto dei cieli.

UN ATTO D’AMORE
Fëdor Dostoevskij ci aveva avvisato: il sosia finirà per avere la meglio sull’originale. Il colmo fu raggiunto nel 2015 quando alla morte di Demis Roussos due noti quotidiani italiani, nell’annunciare la triste notizia, pubblicarono non la foto del cantante greco bensì quella di Riccardo Fogli mentre lo imitava sul palco di Tale e Quale Show, trasmissione condotta da Carlo Conti. Secondo molti fan il miglior imitatore di Elvis è stato Mr. Fatu (Fatu Lauoletolo), un cantante samoano che, durante gli anni Settanta, ebbe un grandissimo successo, a livello locale forse maggiore persino del modello al quale si ispirava. Tra i suoi dischi senza dubbio il migliore è Mr. Fatu Sings Elvis, album registrato dal vivo nel 1976, un atto d’amore verso il mito Presley. Se ovviamente restiamo nel mondo delle cover c’è da dire che il cantante riesce a dare emozioni alle sue performance grazie soprattutto a una voce davvero potente e non dissimile da quella di Elvis. La sua versione di Heartbreak Hotel è uno degli adattamenti più vibranti di un classico malinconico della musica rock. Il successivo disco, Manatua Mai A’u (Remember Me), invece si discosta con diversi pezzi come Beautiful Lei Hibiscus o Savalivali che virano verso il country con rari momenti puramente alla Elvis. Di tutti questi reperti non resta però nessuna traccia e i fan si scannano per ritrovare vecchi ellepì venduti alle aste a prezzi assurdi non dissimilmente da una Mona Lisa d’imitazione ambita come un Leonardo Da Vinci.

COLLEZIONI
Kwok Lam-sang non aveva mai sentito parlare di Elvis Presley prima di quel tragico agosto del 1977, ma in breve ne divenne ossessionato. Ben presto ebbe il suo primo vero vestito di Elvis – una collezione che alla fine sarebbe cresciuta fino a 30 capi – e lo usò per vincere un’importante competizione locale di sosia a Kowloon nel 1981. I fan lo conoscevano come Melvis e si esibiva con clamore soprattutto per le strade guadagnando grazie alle mance. Questo per ben 30 anni. Kwok era famoso per come faceva girare i fianchi mentre si lanciava in sfrenate cover, vestito come il suo eroe, gorgheggiando oltre la parodia. 68 anni per una leggenda di Hong Kong che spostava da ogni parte del mondo centinaia di fan, che lo apprezzavano, più che per le sue doti canore, per l’entusiasmo che ci metteva nell’esibirsi. È stato descritto come «non particolarmente melodioso, ma… appassionato», ma questo sembrava non interessare né a lui né alla moglie Anna, manager e compagna. Quando è stato intervistato dal New York Times nel 2010, Kwok ha affermato di lavorare non più di due ore guadagnando ogni notte circa 500 dollari di Hong Kong, 62 euro. A 68 anni, in un mondo bloccato dal virus del Covid, però Melvis si ritrovò non solo senza possibilità di guadagno, ma anche privato della sua più grande passione, esibirsi come Elvis. Nel dicembre del 2020 è stato stroncato da un’insufficienza renale. Per lui si si sono infiammati i gruppi di Facebook con tributi e frasi commoventi. «Fine di un’era», si legge nei tanti commenti. «Potresti non saperlo, ma Hong Kong ti adorava». È grazie a lui e ai tanti sosia, persone che hanno dedicato la vita al mito di Presley, che la leggenda del re del rock vivrà per sempre. «Elvis was cloned», Elvis è stato clonato, strillava una copertina del giornale più sensazionalistico degli States, il Weekly World News. Impossibile non essere d’accordo.

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