LA VITA È ANIMATA da un proprio ritmo interno, profondo, che poi è il ritmo dell’origine, della natura; e ciò che possiamo fare – come ha scritto di recente Serena Vitale a proposito della poesia di Osip Mandel’štam – è solo provare a «cogliere l’eco lontana di questo ritmo, come i primi accordi di un’armonia». Domande e risposte sono sciolte / nel mondo», concludeva dunque Il mondo sia lodato, perché «la sorte / di mille cascate e di mille fontane / si racchiude nell’acqua che scorre»: è «tutto qui, né più né meno». E Massimo Recalcati aveva parlato al riguardo di un atteggiamento di abbandono al mondo, di resa, come modo per accedere «ad un altro volto» delle cose.
ANCHE QUESTA NUOVA, bellissima raccolta esprime la medesima resa e la medesima tensione a mettersi in contatto con il ritmo dell’origine, della natura. Essendo Marcoaldi un poeta fedele a se stesso, la postura non cambia, né mutano i temi: il tempo che scorre, e che bisogna accettare che scorra senza timore di perderlo: «Perdo il mio tempo guardando / il gatto che fissa l’infinito / come nessuno di noi saprebbe fare?»); le trappole della quotidianità, cui è possibile sfuggire solo facendo «un passo di lato», in «silenzio», con «un lungo respiro»; il colloquio ininterrotto con il nostro parlamento interiore, abitato dai volti e dalle voci di tutti coloro, vivi o morti, con i quali continuamente ci confrontiamo e facciamo i conti; l’illusione e la disillusione, l’incanto e il disincanto; il mondo animale e vegetale.
Semmai, in Tutto qui questi temi sono compresenti come forse non lo erano mai stati; ma sempre, appunto, all’interno di una medesima postura, caratterizzata anche dalla quella stessa «convivenza di grovigli psicologici e leggerezza, ariosità formale» che secondo Pier Vincenzo Mengaldo caratterizza la poesia di Giorgio Caproni (non a caso da Marcoaldi molto amato).
Nei versi di Marcoaldi, e Tutto qui non fa eccezione, forma e sostanza non eccedono mai l’una rispetto all’altra, ma si tengono insieme, così come il discorso emozionale è sempre in equilibrio con quello razionale. La sua è una poesia che potrebbe essere definita sapienziale, e tuttavia senza mai prosopopea, né supponenza o volontà di affermazione.
MARCOALDI INDAGA su di sé, senza pretendere di elargire insegnamenti. Anzi, in Tutto qui la sua conversazione con se stesso è forse ancora più ritratta, più intima rispetto al passato. Si tratta di un atteggiamento assimilabile a quello dei moralisti francesi, come ad esempio Montaigne, e da questo punto di vista possono valere le parole usate da Fausta Garavini proprio in riferimento ai Saggi di Montaigne: non «un breviario di saggezza ben temperata» o «un prontuario di morale salutifera» ma «lo specchio delle paure e delle difese di un essere che si scopre frammentario e diversificato».
Per parte sua, Marcoaldi continua a pensare che il senso della vita, se ne mai se esistesse uno, possa essere trovato solo nel suo «canto».