A Cheese la semplicità del formaggio
Pochi altri prodotti trasformati della tradizione gastronomica italiana vantano una complessa semplicità come il formaggio. Latte, caglio e sale. Solo tre, che messi insieme sono capaci di rappresentare una biodiversità di straordinaria articolazione nel nostro Paese. A Cheese, poi, nella manifestazione internazionale che Slow Food organizza a Bra (Cn) dal 15 al 18 di questo mese, ce ne sono centinaia, non solo italiani, e altrettanti provenienti da 14 Paesi. Tutti a base di latte rigorosamente crudo (questa è la vera peculiarità), caglio e sale ma tutti accompagnati dalle mani e dagli sguardi di sapienti casari che nella stragrande maggioranza sono anche i pastori che allevano gli animali, che li portano al pascolo, che li portano in montagna d’estate, che li mungono più volte al giorno, che conoscono la relazione con l’ambiente e con la biodiversità del territorio.
PRODURRE UN FORMAGGIO è parlare di biodiversità, dall’allevamento alla stagionatura. A partire da dove vivono gli animali e da ciò che mangiano. Ed è per questo che ogni passaggio deve essere seguito con cura se si vuole parlare di prodotti identitari di una comunità e di un territorio, se si vuole uscire dall’omologazione dell’agroindustria che sta livellando tutto verso il basso: dalla qualità al riconoscimento del lavoro.
Sappiamo che il modello intensivo di allevamento degli animali non è sostenibile. Consumo di suolo, consumo di acqua, inquinamento delle falde, sversamento di fanghi da depurazione, mercato di mangimi ad alto impatto per la produzione e per il trasporto. Inoltre, questo latte proviene spesso da razze geneticamente selezionate e finisce per spegnere qualsiasi legame tra prodotto, territorio e comunità di allevatori e casari. Diventa solo produzione industriale, con un impatto sull’ambiente non indifferente e ormai tangibile.
Eppure, un sistema zootecnico responsabile può essere sostenibile e, addirittura, essere parte di quella transizione ecologica che oggi rappresenta un’esigenza inderogabile. Uno strumento potentissimo si trova nei pascoli da prati stabili che sono capaci di svolgere un ruolo determinante non soltanto per l’alimentazione del bestiame.
UN PRATO STABILE È UN SUOLO permanentemente inerbito in cui si assiste a una proliferazione naturale di specie diverse. Più sono le specie che lo compongono maggiore sarà la disponibilità di biodiversità per gli animali che con quelle specie si alimenteranno, sia in stalla o direttamente al pascolo, favorendo, muovendo gli zoccoli, la permeabilità del suolo, molto utile nella prevenzione di smottamenti e slavine. In montagna o in pianura, il prato stabile fa la differenza, da un punto di vista sociale e da un punto di vista ecologico. Nelle terre alte si assiste a una progressiva migrazione delle comunità rurali con conseguente abbandono di terre che diventano boscaglia o foresta incontrollata; nelle terre basse, l’agricoltura industriale ha scalzato i prati e ha causato una forte perdita di fertilità e una serie di squilibri ecologici.
In Italia ne abbiamo perso quasi metà in mezzo secolo, ma è un processo tangibile in tutto il mondo. Conservare questa risorsa diventa quindi un dovere sociale per rispondere a una esigenza sempre più sentita di un equilibrio ecosistemico in cui biodiversità vegetale e animale giocano un ruolo determinante. Anche per provare a mantenere inalterato lo straordinario paesaggio rurale simbolo di convivenza tra l’ecosistema agrario e quello naturale in un perfetto equilibrio in cui agricoltori e pastori sono costruttori e custodi di un inestimabile valore culturale ed economico.
IN UN PRATO STABILE GLI ANIMALI si nutrono di biodiversità e restituiscono questo valore con un prodotto ricco di nutrienti, di proprietà organolettiche e nutraceutiche, che sono presenti nel latte e che vengono trasferite nel formaggio. E se questa biodiversità è utilizzata direttamente al pascolo si finisce per completare un quadro agroecosistemico a cui non possiamo rinunciare. Uomo, animale e prato diventano così uno strumento di conservazione del territorio, di contrasto al dissesto idrogeologico, di miglioramento della qualità dei suoli. Un prato stabile grazie al permanente inerbimento e alla biodiversità ha una maggiore capacità di drenaggio delle acque superficiali, rischia meno il ristagno e il ruscellamento, è maggiormente resistente all’erosione e alle frane. Soprattutto, un prato stabile è un incredibile strumento di contrasto della crisi climatica grazie alla sua significativa capacità di sequestrare grandi quantità di carbonio che rimane immobilizzato fin quando il prato sarà gestito in modo corretto. Il carbonio che attraverso le piante viene assorbito dall’atmosfera e trasferito nel terreno diventa matrice di rafforzamento di microrganismi, batteri, funghi, microfauna che compongono quell’incredibile rete microbica che costituisce la fertilità dei suoli. Un valore ecologico irrinunciabile. Nel mondo siamo in presenza di una progressiva perdita di fertilità dei suoli a causa dell’agricoltura industriale e di modelli legati alla chimica di sintesi che incide significativamente nella perdita di efficacia della rete microbica.
ATTRAVERSO LA CONSERVAZIONE DEI PRATI stabili si contribuisce, quindi, a sostenere processi di transizione ecologica che diventano ancora più tangibili quando siamo in presenza di azioni di rigenerazione che spostano l’interesse da modelli monocolturali e industriali verso modelli in cui la biodiversità torna a giocare un ruolo primario. Abbiamo quindi bisogno di prati stabili in Italia per garantire un contributo rilevante verso la transizione ecologica. Ne abbiamo bisogno per sostenere il valore dei nostri pastori e del loro sapiente contributo, ne abbiamo bisogno per dare ancora più forza alla grande diversità che dobbiamo tutelare, nei suoli, nelle specie vegetali, nelle razze animali, nei profumi e nei sapori del latte, nelle tipologie di formaggi che ne derivano, nelle tradizioni culturali che restano sempre fortemente identitarie.
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