A cena con gli incubi italiani
Teatro Tra una portata e l'altra si mette in scena la tragedia del Belpaese
Teatro Tra una portata e l'altra si mette in scena la tragedia del Belpaese
Come ogni anno torna al Poggiolino di Anghiari (una terrazza meravigliosa tra le case antiche, nelle mura medievali della cittadina toscana) quella che è ormai diventata una «tradizione» di Ferragosto, Tovaglia a quadri. E come ogni anno sotto la piacevolezza della cena, dei bei canti antichi e delle gag tra i personaggi perfettamente costruite, emerge un’amarezza, una insoddisfazione e una denuncia tutta politica di una situazione che riguarda tutti, l’intera Italia e non solo questo luogo. Che, per quanto di straordinaria bellezza e storico retaggio, subisce contraccolpi duri dalla crisi economica, dalle fabbriche che chiudono e licenziano, dal fallimento delle piccole imprese, dalla sempre minore remuneratività dell’agricoltura. Anche se in zona ci sono culture pregiate e riconosciute, come il tabacco.
. Che sono un campione significativo della provincia italiana di sinistra, della sua fiducia messa a rischio, delle incertezze e dei dubbi davanti al cambiamento che maschera malamente sbandamenti, cedimenti, compromessi e «colpi» di destra. Insomma una coscienza critica che cerca di mantenere a tutti i costi la lucidità, favorita anche dal fatto che su scala locale tutti quei «difettucci» sono più evidenti e più difficilmente dissimulabili. La «tovaglia a quadri» che da circa un ventennio Paolo Pennacchini e Andrea Merendelli (quest’ultimo anche regista) [do action=”citazione”]Il principio drammaturgico è da diciotto anni il medesimo: costruire uno spettacolo che usi l’ambientazione e la scansione di una cena tipica della Val Tiberina, nei cui passaggi da una portata all’altra, vengono realizzate scene di un racconto che come i cibi affonda le sue radici nelle tradizioni, abitudini comportamenti e scelte degli abitanti di Anghiari[/do]imbandiscono al Poggiolino si snoda quindi su queste due velocità: da una parte la storia vera e il presente e l’incerto domani di questa porzione di civile Toscana, e insieme una sapienza creativa, nei dialoghi e nella drammaturgia, che è abbastanza rara nel teatro cui si assiste solitamente.
Il titolo dello spettacolo di quest’anno è Traguardaci (fino al 19 agosto al Poggiolino alle 20,15, info 0575 749279) perché la «grande illusione» del momento appare la bicicletta (sicuramente il lavoro preparatorio è iniziato prima dell’elezione del sindaco Marino a Roma, ma si adatta bene anche rispetto alla nuova mania capitolina). Suona toscano l’esortazione ‘Gna pedalare che annuncia, anche attraverso volantini che calano dai tetti, la nuova sfida politica per rimettere le cose a posto. Si annuncia un misterioso comizio in piazza, luogo centrale sul tema della mobilità, perché divide chi vorrebbe pedonalizzarla, lasciandola cuore umano della città dominato solo dalla statua risorgimentale di Garibaldi, e i commercianti che come dappertutto vorrebbero i clienti drive-in davanti alle loro botteghe. Ma i piccoli dissidi di oggi ricalcano le lotte e gli interventi nella zona di qualche decennio fa, quando nel dopoguerra Amintore Fanfani (nato nella vicina Pieve Santo Stefano, ma che abitò con la famiglia ad Anghiari, facendovi pure il boy scout) tentò l’insinuazione della sua Dc in fase di lancio, nel monopolio anghiarese del Pci. La famosa «riforma della casa» ebbe qui un esempio significativo, anche se dagli scarsi risultati elettorali.
Oggi, chi arriva nella tranquilla osteria della rappresentazione, dove dividono i tavoli ex comunisti arricchiti e passati a Berlusconi, antichi portaborse di obbedienza dc e anime non acquetate della sinistra, è un giovane ragioniere, elegante e disinvolto, espertissimo di conti e finanze, pieno di promesse e di una sicurezza che lo coopterebbe subito nelle logge massoniche pasciute a dismisura, negli ultimi decenni, anche nelle province e nelle regioni «rosse».
Tra battute salaci e giochi arditi di parole, il mistero del misterioso comizio annunciato si interseca con la vita quotidiana, fatta di signore desiderose di restyling tra cyclette e trainer a loro dedicati, oppure con l’antica officina che si danna a riparare camere d’aria, o ancora con le mani leste che spacciano tartufi di origine oscura. Una quotidianità che se innalza come un inno la gloriosa Bellezze in bicicletta di Marchesi-D’Anzi, è capace di restituirci antiche melodie meravigliose di queste terre, che Mario Guiducci (in scena come ex portaborse) ha trasformato e adattato in sinfonie polifoniche di sicuro fascino.
Perché, esauriti primi, secondi e canzoni, tra i cantuccini e il vin santo si capisce anche cosa portasse nella borsa il fidato commesso. E può essere una istruttiva scoperta per molti che la bozza della costituzione preparata a Camaldoli dal costituente Fanfani, avesse subito qualche piccola trasformazione.
Una assai significativa è proprio nell’attacco dell’articolo primo, dove «il lavoro» su cui si fonda la nostra repubblica è in realtà un alleggerimento del precedente «sui lavoratori». Insomma, dietro le nostalgie tifose per Coppi contro Bartali, e diffondendo la retorica di «un uomo solo al comando» (tornata oggi di gran moda), la digestione della cena si rivela più agevole di quanto lo spettacolo ci è andato, con falsa bonarietà, rivelando. La bravura dei due autori, e quella dei molti interpreti, è l’elemento vero di speranza, quando frustati dalla brezza notturna del Poggiolino, si applaude sapendo che non finisce lì.
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