A cavallo di una motocicletta per cambiare la storia del cinema
Icone Addio all’attore e sceneggiatore di «Easy Rider», icona di controcultura agli albori della New Hollywood
Icone Addio all’attore e sceneggiatore di «Easy Rider», icona di controcultura agli albori della New Hollywood
Un maledetto cancro polmonare che lo ha tormentato a lungo, ha portato via Peter Fonda. Aveva 79 anni. Tutti lo hanno conosciuto, anche come parte di una famiglia che ha riempito gli schermi cinematografici per molti decenni. Suo padre Henry è stato un’icona, anche sua sorella Jane, e seppure in maniera diversa, meno famoso ma comunque significativo il lavoro di interprete di sua figlia Janet.
PETER comunque non è stato da meno. Anzi. Non tanto per il suo contributo come interprete, che lo ha comunque portato vicino a Oscar e Golden Globe, ma perché nel turbinio degli anni ’60 ha saputo fare cose che hanno cambiato la storia. Almeno quella del cinema. Lui, Dennis Hopper e Jack Nicholson gravitavano intorno alla Corman Factory. In particolare Peter è stato il protagonista de I selvaggi, film del 1966, diretto proprio da Corman sugli Hell’s Angels.
L’idea era venuta da un funerale di un motociclista con i compagni sconvolti. Film di explotation dichiarata. Ma Peter e Dennis Hopper, che nel frattempo si sono fatti crescere i capelli, hanno un’idea: perché non raccontare attraverso un on the road il nuovo spirito che pervade molti giovani statunitensi mentre la guerra nel Vietnam diventa sempre più cruenta e insensata e nuovi protagonisti si affacciano al mondo intenzionati a cambiare le regole?
CORMAN – che nel 1976 produrrà anche Fighting Mad di Jonathan Demme con Fonda protagonista – è entusiasta, ma ha altri impegni, così quell’ipotesi gli sfugge di mano (forse l’unico vero rimpianto della sua vita) e i due ragazzacci rimediano «un pugno di dollari» per dare corpo al loro progetto. Con un costo complessivo inferiore a 400mila dollari, Easy Rider portò a casa diverse decine di milioni di dollari.
Merito dei due sceneggiatori, registi, interpreti, cui si era aggiunto l’amico Jack Nicholson (sia la sceneggiatura originale che l’interpretazione da non protagonista di Nicholson valsero una candidatura all’Oscar) ma soprattutto di un nuovo punto di vista che Hollywood non solo non poteva avere, ma neppure immaginare. Due hippies che attraversano gli States a cavallo di un paio di chopper, tra sesso, droga e rock’n’roll. Troppo per un’America che aveva appena ammazzato Robert Kennedy e Martin Luther King e non voleva lasciare spazio alle nuove generazioni, tantomeno a quelli zazzeruti, «tossici» e inneggianti al libero amore su ritmi musicali tribali.
Eppure quell’estate del 1969 segnò la storia, con il peace and love di Woodstock e con Easy Rider che proprio nel 2019 ha compiuto cinquant’anni. Al successo di quel film è anche dovuto il debutto dietro la macchina da presa nel 1971 con il western The Hired Hand (in Italia Il ritorno di Harry Collings) – del quale è protagonista insieme a Warren Oates e Verna Bloom – uno degli unici tre film girati da Fonda insieme a Idaho Transfer e Wanda Nevada.
PETER FONDA aveva già conosciuto l’arresto quando (con Jack Nicholson che l’aveva sfangata) era stato preso in custordia in seguito all’attacco poliziesco nei confronti di un gruppo di hippies sul Sunset Boulevard a Hollywood. Era il novembre 1966 i giovani si erano radunati contro le istanze dei benpensanti che li volevano far sloggiare dal quartiere e dai locali della zona. Testimoni della brutalità poliziesca al servizio della gente perbene i Buffalo Springfield che all’epoca suonavano da quelle parti. Nasce così For What it’s Worth, canzone di protesta divenuta epocale, seppure letta come protesta contro la guerra in Vietnam.
FONDA forse non riuscì più a bissare quell’intuizione geniale, vissuta come propria, non solo rappresentata, che lo ha portato, molto tempo dopo l’arresto, a una stella tutta sua sull’Hollywood Boulevard. Soprattutto lui e Hopper cambiarono Hollywood, la quale accettò il cambiamento, ma non perdonò mai fino in fondo i due reprobi che con pochi dollari e buone idee avevano saputo scardinare tutte le pensate degli uffici marketing delle majors. Nacque da lì la nuova Hollywood degli anni ’70. E rileggere oggi quella storia fa venire voglia di vedere un nuovo Easy Rider, capace di mettere in discussione la banale e ripetitiva produzione made in Usa dei nostri tempi.
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