Visioni

A Bordeaux trionfa l’amore per il cinema

A Bordeaux trionfa l’amore per il cinemaScena da «Les filles au Moyen Age» di Hubert Veil e sotto «Ce sentiment de l’été» di Mikhael Hers

Festival Alla rassegna di film indipendenti i premi principali vanno a due opere francesi: «Les filles au Moyen Age» di Hubert Veil e «Ce sentiment de l’été» di Mikhael Hers

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 16 ottobre 2015

Rosa shocking lungo le strade, sulla copertina del catalogo fuori dai cinema, negli accrediti danzanti al collo dei passanti. Sembrava quasi di rivivere la scena di Think Pink! in Cenerentola a Parigi di Stanley Donen ma siamo a Bordeaux, nel centro di una città che, a ogni angolo, colorava palazzi e porzioni di cielo, segnalando, con quel colore pop e pulsante, la presenza del FIFIB, Festival International du Film Independant de Bordeaux che si è concluso lo scorso mercoledì.

Fra suggestioni e sfumature cromatiche, che durante la notte si trasformavano nel viola acido delle serate danzanti post proiezioni al Village Mably, il FIFIB ha alternato focus (il collettivo Stanley White sbarcato dalla Corsica), masterclass (affollatissima, come prevedibile, quella con Arnaud Desplechin), proiezioni speciali (un oscuro, splendido documentario su Leos Carax dal titolo Mr. X) e luci rosse (il collage A’ la recherche de l’Ultra-Sex della coppia comica Nicolas e Bruno che ha assemblato e doppiato più di 60 estratti dai film porno più bizzarri degli ultimi anni). Sale sempre piene, decine di giovani in coda per la proiezione di Cuore selvaggio di David Lynch, la presidentessa di giuria Valeria Golino a braccetto di Céline Sciamma, le valigie di Valérie Donzelli che approdano per la serata di chiusura con il suo Marguerite e Julien. Ma è il dialogo continuo alla fine di ogni proiezione, l’inarrestabile corsa di accreditati tra una proiezione e l’altra, il rispetto e l’amore palpabile per il cinema che in questo preciso momento storico fa commuovere. A

coronare questi sei giorni di festival, un palmarès che ha visto due film francesi, lontani dai circuiti tradizionali distributivi e non, conquistare i due premi principali: il Gran Prix du Jury «Domaine Clarence Dillon» e il Prix du Jury «Deuxième Regard» (per il film più coraggioso nel travolgere gli stereotipi di genere). Quest’ultimo è stato meritatamente conquistato da Les filles au Moyen Age, secondo lungometraggio di Hubert Veil che ci conduce, come in una fiaba, in un quartiere anonimo della campagna francese dove la noia e la calura dei pomeriggi estivi si combattono in maniera diversa. Tre giovani amichetti si perdono in un videogioco action adventure di epoca medievale mentre tre fanciulle il Medioevo desiderano «viverlo» davvero e così si affidano al fascino e alla dolcezza suggestiva della voce di nonno Michael Lonsdale, tenero erudita che le trasporta magicamente indietro di 1000 anni, grazie alle parole di un libro misterioso quanto i tomi di Michael Ende.

I bambini diventano così re, monaci, cavalieri mentre le piccole hanno abiti da conquistatrici, armature da eroine, capelli corti da sante che tengono testa al potere e all’istituzione maschile. Girato in luoghi naturali, spogliati e senza artificio, tra le fratte dei boschi e nei campi di grano, il film di Veil ha l’infantile, tenera incoscienza di raccontare l’emancipazione femminile affidando a corpi implumi i ruoli di Gesù e Giovanna d’Arco e i palpiti degli amori cortesi, in uno splendido bianco nero, quasi arrogante, che non teme il confronto con un’epoca dove l’odore sacro del rito, della solenne cerimonia e dell’obbedienza si diffondeva ovunque. Il regista cattura ad altezza bambino, in vari episodi che oscillano fra l’allegoria e il comico, la spiritualità dell’epoca e, con amore di sovversione, restituisce al femminile il maltolto dei libri di storia.

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Fra altri dondolii invece, maturi e infantili allo stesso tempo, si muove il vincitore, Ce sentiment de l’été di Mikhael Hers che, fin dalle prime inquadrature, ci immerge nella vita di una giovane donna a Berlino. Sasha si alza al mattino nel sole della sua casa: una coccola al gatto, il caffè, la doccia, un bacio silenzioso al compagno Lawrence che dorme ancora e poi le strade della città accaldata, il lavoro presso un atelier dove si dipingono stoffe. Sasha non parla, vive, sorride ai colleghi, ha negli occhi la cena della sera quando esce dallo studio e mentre attraversa un parco cade, all’improvviso.

Al suo capezzale rivediamo Lawrence e la famiglia di lei giunta dalla Francia: il padre, la madre (una ritrovata, sempre luminosa Marie Riviére), la sorella e il compagno, solo lacrime, Sasha è già morta e poco dopo l’obbligato ritorno alla vita, la casa vuota, il gatto che non mangia più, la famiglia che torna a casa. Un anno dopo, a Parigi, Lawrence incontra a una festa Zoe, la sorella di Sasha, separata dal compagno e, nell’amore e nel ricordo dell’amata defunta, comincia a sbocciare un sentimento fra i due. Mikhael Hers attraversa le capitali d’Europa, la vita e la morte, con la pazienza di chi lascia documentare alla macchina da presa l’emergere di un sentimento attraverso gesti insignificanti e sguardi rubati. Nella dolcezza di un fuori campo si aprono brecce nei cuori sconvolti dei protagonisti, la vita respira di nuovo fra i primi piani dove i germogli del sentimento sfidano le radici della colpa e solo in terra straniera forse, fra i palazzi di New York, può finalmente arrivare l’estate.

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