«99 Homes», scelte di resistenza tra cinismo e redenzione
Venezia 71 Ramin Bahrani racconta il dramma degli sfrattati travolti dalla crisi Usa e dagli immobiliaristi squali
Venezia 71 Ramin Bahrani racconta il dramma degli sfrattati travolti dalla crisi Usa e dagli immobiliaristi squali
La dedica è per Roger Ebert, da poco scomparso, e in 99 Homes, in concorso, il nuovo film di Ramin Bahrani scritto insieme a Amir Naderi, è qualcosa di più di un affettuoso omaggio a un critico che ha accompagnato molte generazioni di cineasti – e anche amato moltissimo il lavoro di questo regista nel 2010 da lui nominato cineasta dell’anno.
C’è infatti uno sguardo che attraversa gli orizzonti del cinema americano a partire da un pugno di storie primarie: il bene contro il male, i buoni contro i cattivi, il sogno americano di utopia e ce-la-posso-fare per tutti. Solo che siamo negli anni zero di recessione e pochi scrupoli, gli eroi fuori dai costumi super non riescono più a essere tali, e l’uomo medio deve cavarsela come può.
Essere onesti, troppo onesti almeno, è diventato un lusso. È quanto accade al protagonista, Dennis Nash – l’attore inglese Andrew Garfield– operaio rimasto senza lavoro che non riesce a pagare le rate del mutuo, e si ritrova con la famiglia – la madre, Laura Dern, e il figlietto – per strada.
Ci vogliono pochi minuti perché il giudice decida che la casa per la quale si è «spaccato la schiena» diventi proprietà della banca, e altrettanti perché due poliziotti e l’implacabile agente immobiliare Rick Carver – Michael Shannon questi giorni sui nostri schermi in Mud di Jeff Nichols – li sbattano fuori con tutte le loro cose, destinazione uno dei tanti motel pieni di altri come loro massacrati da mutui strozzini, banche e immobiliaristi gangster, e ridotti a vivere in una camera.
http://youtu.be/PQvXxBEW6cg
Il ragazzo però non si rassegna, la sua casa la rivuole e non lo convincono le parole dell’immobiliarista, le case sono solo scatole non ci si deve affezionare, perché Nash è disposto a tutto. Anche a lavorare per lui, diventando il suo uomo di fiducia, quello che sta dall’altra parte e fotte chi sta ora al suo posto: famiglie con bambini piccoli, vecchi soli, madri sole senza soldi, tutti disperati, ingannati da quegli agenti immobiliari che percorrono le strade di Orlando, Florida, a caccia di case, che «bonificano» i quartieri, e truffano il governo in un sistema però che glielo consente. Un giro di soldi miliardario.
Le 99 case del titolo sono le 100 necessarie per l’immobiliarista all’affare del successo meno una, di un tizio che si oppone legalmente, quel 99 possibilità su cento che oggi secondo il regista governa il mondo, tanto è lo spazio per l’onestà. Eppure è davvero impossibile resistere?
Ecco, è questa resistenza che cerca Bahmani, senza effetti speciali e senza spingere sui toni con scene madri, sangue, gesti ultimativi. Per questo però il doppio passaggio dell’operaio, tra scelte ciniche e «redenzione», arriva in modo poco credibile, privo dell’ambiguità disperata che fino a quel momento sembrava la pulsione profonda dei suoi gesti. Imposto perché vogliamo crederci, fino a inghiottire tutto il resto. Speculazioni comprese.
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