In giornate non facili dal punto di vista della presenza mediatica, con il dibattito pubblico tutto centrato sulla scomparsa di Berlusconi e gli equilibri nel centrodestra, il Movimento 5 Stelle prova a ritrovare protagonismo con due iniziative, una in chiave interna l’altra rivolta all’esterno.

Ieri è cominciato in una sala del quartiere Ostiense il percorso che condurrà alla nascita di una vera e propria organizzazione giovanile: c’erano 150 persone in presenza e 500 collegate da remoto. Nelle stanze di via Campo Marzio la chiamano la «fase zero» e, raccontano, nasce sulla scorta dell’iniziativa autonoma di alcuni giovani iscritti che si erano organizzati spontaneamente in alcune chat e che hanno chiesto un canale per interagire con il M5S.

Se ne è occupato il comitato progetti, quello per le politiche giovanili e quello per la formazione, che poi ha mandato una comunicazione email a tutti gli iscritti che hanno meno di trentasei anni, anche se la maggior parte degli aderenti e dei promotori è in età di studi universitari.

L’idea di una «giovanile» è tipica dei partiti tradizionali: suona inedita per i 5 Stelle anche perché nelle scorse legislature a quell’età da queste parti si diventava direttamente parlamentari (Luigi Di Maio venne eletto che aveva 26 anni, Alessandro Di Battista 34).

È stato un primo momento di confronto, alla presenza di Giuseppe Conte, sul rapporto dei giovani con la disaffezione verso la politica e sui temi della precarietà lavorativa e dell’ambiente. «Vogliamo creare un’ampia rete di partecipazione giovanile che possa poi radicarsi nei principali luoghi di aggregazione della società – spiegano dal Movimento 5 Stelle – Scuole, università, reti civiche e territoriali, in un rapporto di reciproca collaborazione che sia volano e megafono delle rivendicazioni avanzate dai cittadini che incontriamo nel nostro quotidiano».

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L’iniziativa procede di pari passo alla strutturazione sul territorio, storico punto debole dei 5 Stelle riemerso anche in occasione dell’ultimo voto amministrativo. Al momento pare si siano costituiti un centinaio di gruppi territoriali, sono coordinati da Paola Taverna e Vito Crimi. Questo livello sconta la difficoltà di avere pochi fondi dal centro, in particolare per aprire sedi sul territorio.
Una misura del livello di ramificazione e diffusione sarà il corteo che parte oggi alle 14 da piazza della Repubblica, anche se dal M5S tendono a non caratterizzarlo come strettamente di partito.

Sono previsti pullman da tutt’Italia, questa mobilitazione verso Roma è stata affidata ai parlamentari e ai coordinatori regionali. Lo scopo è dare voce alle «storie di vita precarie»: «Il governo Meloni non vi ascolta, lo faremo», è il messaggio. Per questo, al culmine della manifestazione (in largo Ricci, all’inizio dei Fori imperiali), si alterneranno le testimonianze di chi soffre la crisi: una lavoratrice testimone del ricatto dello sfruttamento, un percettore di reddito di cittadinanza, una guardia giurata in rappresentanza delle categorie del lavoro privato con contratti al ribasso che avrebbero bisogno del salario minimo, un gruppo di esodati dal Superbonus edilizio, una ricercatrice universitaria precaria, uno studente del popolo delle tende in lotta contro il caro-affitti e l’unica donna autista di pullman di lunga percorrenza. Alla fine ci sarà il «saluto» di Giuseppe Conte.

Parleranno dal palco anche il presidente nazionale dell’Arci Walter Massa, quello delle Acli Emiliano Manfredonia, Giuseppe De Marzo per la Rete dei numeri pari e un rappresentante di Ultima generazione e ci sarà un discorso contro la guerra in Ucraina di Moni Ovadia. La segretaria dem Elly Schlein non aveva del tutto chiuso alla possibilità di una sua partecipazione, ma Conte nei confronti del Pd continua a usare parole prudenti: esclude del tutto l’«alleanza organica» ma dice di considerare «naturale» il confronto coi dem.

Con un avviso ulteriore, recapitato ieri dalle colonne del Fatto: «Dopo la batosta alle amministrative, Schlein ha riaperto al campo largo, ossia anche a Renzi e Calenda – dice Conte – Non saprei a cosa è dovuto questo cambio di rotta. Mi permetto di ricordarle che questa formula l’aveva già adoperata Enrico Letta, con scarso successo».