«Un’opposizione unitaria non è nell’ordine delle cose, in questo momento», dice Giuseppe Conte ai cronisti dopo avere incontrato Sergio Mattarella al Quirinale. Eppure Movimento 5 Stelle e Partito democratico, con fatica e senza rimangiarsi le accuse reciproche degli ultimi tre mesi, in qualche modo hanno ripreso a parlarsi. L’accordo per gli uffici di presidenza delle camere ha retto e anche se Calenda e Renzi protestano e puntano a rompere lo schema, potrebbe ripresentarsi quando si tratterà di eleggere i presidenti delle commissioni che toccano all’opposizione. A quel punto, il Copasir potrebbe andare al dem Enrico Borghi e alla vigilanza Rai potrebbe finire il pentastellato Riccardo Ricciardi, che non a caso si è tenuto le mani libere in questa prima informata di nomine. A quel punto, Ricciardi si dimetterebbe da vicepresidente M5S, come prevede lo statuto, e al suo posto Conte chiamerebbe a rimpiazzarlo l’ex ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli.

Non è abbastanza per dire, come sostengono i terzopolisti, che l’asse giallorosso è rinato ma è indice del fatto che le due forze principali dell’opposizione parlamentare cominciano ad affrontare pragmaticamente alcuni passaggi. In questa fase non conviene a nessuno dire che le rigidità reciproche vanno allentandosi. Il Pd si prepara alla maratona pre-congressuale e non ha ancora digerito la rottura del campo largo e la fine del governo Draghi. Dal quartier generale di via Campo Marzio, invece, i 5 Stelle spulciano i sondaggi che li danno in crescita e non hanno motivo di cambiare le cose molto in fretta. Se mai di dovrà ristabilire una qualche forma di consultazione permanente col Nazareno, è il ragionamento che fanno i grillini, ciò dovrà avvenire sulla base di nuovi rapporti di forza tra i due partiti e con la dirigenza del Pd rinnovata. «Il Pd farà il suo congresso e noi faremo le nostre battaglie di opposizione – sostiene Conte – Immagino che potranno esserci molti passaggi in cui potremo ritrovarci insieme ma non è questo il tempo di coordinare l’opposizione unitaria e istituire una cabina di regia coordinata e permanente».

Tuttavia, i sondaggi possono fornire sguardi incoraggianti sullo scenario nazionale, confermare l’onda lunga delle elezioni politiche. Ma nel M5S sanno bene che il voto locale per loro è sempre stato un’altra cosa. Per questo, è più facile che ci si trovi a parlare con il Pd per cercare di trovare un’intesa per le prossime regionali. Il voto nel Lazio, laddove il campo largo è stato sperimentato per la prima volta con la benedizione di Nicola Zingaretti, dovrebbe cadere a fine gennaio. Per il Pd è in corsa il vicepresidente Daniele Leodori, tessitore dell’alleanza con Roberta Lombardi nella scorsa consiliatura. Dal M5S sperano in un nome terzo, un neutro sul modello Manfredi a Napoli che disinneschi i malumori di Virginia Raggi e chiedono però che l’accordo riguardi anche la Regione Lombardia. Proprio l’altro giorno, il capogruppo regionale Nicola Di Marco e il coordinatore lombardo Dario Violi hanno esortato i dem a spiegare «se nel loro futuro c’è il cammino intrapreso con il governo Conte 2 o Moratti». Infine, a proposito di alleanze, al mattino sabato prossimo, all’Aquario nel quartiere romano dell’Esquilino, Conte parteciperà all’assemblea convocata dalla sinistra che intende organizzarsi per lavorare accanto al Movimento 5 Stelle. Ci saranno tra gli altri Loredana De Petris, Stefano Fassina, Paolo Cento. Un altro tassello degli equilibri d’opposizione in questa legislatura.