La giornata internazionale della lotta contadina, che ricorre il 17 aprile, esprime la necessità di difendere la terra e le risorse naturali, salvaguardando i piccoli produttori agricoli. Istituita per ricordare il massacro avvenuto nel 1996 in Brasile a Eldorado do Carajas, nello stato del Parà, è diventata un riferimento importante per i contadini di tutto il mondo che lottano per la terra e la giustizia sociale. La strage fu la risposta alla richiesta di 2 mila contadini senza terra di poter coltivare i 40 mila ettari improduttivi della fazenda Macaxeira. L’intervento della polizia militare causò quel giorno la morte di 19 contadini a cui si aggiunsero altri due nei giorni successivi per le ferite riportate. Un tributo di sangue che rimane nella memoria collettiva.

ORA QUELL’AREA, ESPROPRIATA e assegnata ai lavoratori agricoli, è stata resa produttiva e fornisce cibo sano a tutte le comunità del territorio. Perché «il cibo non è una merce, ma è vita», come sanno i contadini di tutto il mondo che si battono contro un modello di produzione che determina uno sfruttamento delle risorse. Anche quest’anno le iniziative per il 17 aprile sono centrate sulla protezione della vita e del lavoro agricolo dei contadini, ribadendo il ruolo strategico che può svolgere l’agricoltura familiare nel processo di trasformazione economica e sociale e nella salvaguardia dell’ambiente.

NONOSTANTE LA «DICHIARAZIONE delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e delle persone che lavorano in ambito rurale», approvata nel dicembre 2018, i contadini continuano ad essere l’anello più debole della filiera del cibo. Milioni di contadini lottano ogni giorno per difendere i loro diritti, contro politiche che li penalizzano, contro un modello di agricoltura basato sul massimo sfruttamento delle risorse e che mira all’espropriazione delle terre. Nel 2021 c’è stata la mobilitazione storica dei contadini indiani che ha costretto il governo del primo ministro Modi ad abrogare le tre leggi che aveva varato per la liberalizzazione del mercato agricolo a favore delle grandi imprese.

SECONDO LA BANCA MONDIALE sono oltre 3 miliardi le persone che vivono nelle aree rurali, il 40% della popolazione mondiale, e l’agricoltura contadina svolge un ruolo fondamentale per garantirne la sopravvivenza. In queste settimane i temi relativi a sovranità alimentare, biodiversità agricola, sostenibilità climatica, giustizia sociale, ruolo dell’agricoltura contadina, sono stati al centro della discussione nel preparare la nuova Politica agricola comune (Pac) per il periodo 2023-2027.

IN EUROPA SONO IMPEGNATE NEL LAVORO agricolo 25 milioni di persone, per la maggior parte piccoli contadini, e i due terzi delle aziende agricole ha dimensioni inferiori ai 5 ettari. Ma questa realtà produttiva è stata quella più penalizzata dalle scelte di politica agraria con l’80% delle risorse destinate al 20% delle aziende, premiando le produzioni dell’agrobusiness (monocolture, allevamenti zootecnici), piuttosto che le piccole aziende impegnate nella produzione di cibo da portare in tavola. La nuova Pac, che doveva segnare una svolta nella difesa delle produzioni sostenibili, ancora una volta non è riuscita a liberarsi dai condizionamenti del settore agroindustriale.

IL PIANO STRATEGICO NAZIONALE (Psn) presentato dall’Italia a fine dicembre, che doveva definire la politica agricola del paese, viene ora sonoramente bocciato. Nelle 40 pagine del documento trasmesso il 31 marzo dalla Commissione europea al Ministero delle politiche agricole sono ben 244 i rilievi espressi in cui si sottolinea che «numerosi elementi del Piano sono mancanti, incoerenti o incompleti». Non vengono giudicate adeguate le misure riguardanti lo sviluppo rurale, mancando qualsiasi indicazione su come ripartire i fondi tra le regioni e le modalità con cui saranno gestiti gli interventi. Si evidenzia, inoltre, la necessità di «garantire una distribuzione più equa e mirata dei pagamenti diretti» per favorire territori e settori finora trascurati. Tra i pagamenti diretti figura il greening, cioè le pratiche di agricoltura sostenibile per favorire la biodiversità e contrastare il cambiamento climatico. Il giudizio più severo riguarda proprio le misure ambientali fissate dall’Italia.

SECONDO LA COMMISSIONE «APPARE improbabile che il Piano proposto possa contribuire in modo sufficiente ed efficace a raggiungere questo obiettivo generale, in particolare per quanto riguarda l’acqua, l’aria, i nutrienti e la biodiversità nei terreni agricoli e nelle foreste, nonché la riduzione delle emissioni e il sequestro di carbonio». Si afferma in maniera perentoria che «le misure fissate sono inadeguate e si rendono necessari significativi miglioramenti». Si rileva, ancora, che in alcuni casi non è possibile valutare l’adeguatezza del Piano perché mancano gli «indicatori di risultato» per quantificare gli obiettivi.

ANCHE PER QUANTO RIGUARDA LA TUTELA dei lavoratori, la Commissione richiama l’Italia ad avviare dal 2023 un piano di interventi adeguato in termini di condizionalità sociale, rilevando «l’elevata presenza di lavoro irregolare nelle campagne italiane e fenomeni di sfruttamento». Le 17 associazioni che si riuniscono nella coalizione Cambiamo agricoltura! e L’Associazione rurale italiana (Ari) auspicano una nuova versione del Piano strategico nazionale che recepisca non solo le osservazioni della Commissione, ma anche quelle delle associazioni ambientaliste e dei piccoli produttori agricoli. Si ribadisce la necessità di «cambiare rotta e correggere un Piano finalizzato essenzialmente a tutelare storiche rendite di posizione, per una diversa distribuzione delle risorse a favore delle aree del paese più bisognose di rilancio e sostegno».

SI DICHIARA LA DISPONIBILITA’ a partecipare alla stesura del nuovo Piano con l’obiettivo di «accompagnare la transizione agroecologica del nostro sistema alimentare». Ma bisogna rilevare anche il comportamento contraddittorio della Commissione europea. Mentre invita i paesi a rispettare gli obiettivi di sostenibilità ambientale, nello stesso tempo autorizza, a causa della guerra in Ucraina, le aziende agricole che hanno una superficie superiore a 15 ettari a coltivare a seminativo anche le aree di interesse ecologico, in contrasto con quanto previsto dalla Pac.