2006-2021, i due piani pandemici a confronto
La nuova bozza Le indicazioni disattese del primo, gli aggiornamenti nell’era Covid. Resta ancora troppo vago il potenziamento della medicina territoriale
La nuova bozza Le indicazioni disattese del primo, gli aggiornamenti nell’era Covid. Resta ancora troppo vago il potenziamento della medicina territoriale
Abbiamo un piano: la bozza del piano anti-pandemia influenzale valida per il 2021-2023 che circola da alcune ore in rete ha ancora un carattere provvisorio, ma appare completa e dettagliata. Si tratta del documento che il governo avrebbe dovuto aggiornare regolarmente, ma che in Italia era fermo al 2006. In realtà, la scarsa preparazione del servizio sanitario nazionale emersa con la crisi Covid-19 ha ben poco a che fare con il mancato aggiornamento: molte indicazioni utili per affrontare l’epidemia – per esempio, la predisposizione di scorte di dispositivi di protezione – erano già presenti nella vecchio piano, e ciononostante sono state evidentemente disattese.
Il piano predisposto dalla direzione generale della prevenzione del ministero della Salute (ora guidata da Gianni Rezza) in realtà non si applica a qualunque pandemia, ma solo a quelle dovute ad un virus influenzale. Secondo la comunità scientifica, infatti, sono questi i virus a maggior rischio pandemico. Sui virus influenzali, per altro, esiste una letteratura molto ampia, poiché con essi ci tocca avere a che fare con regolarità annuale e già in altre occasioni la diffusione di ceppi particolarmente virulenti di virus influenzali ha provocato pandemie. Dopo la “spagnola” del 1918, è successo di nuovo nel 1957, nel 1968 e nel 2009.
Secondo gli scienziati è scontato che prima o poi riaccada. Ma se una futura pandemia dovesse essere causata da un virus diverso, com’è stato per il Covid-19, il piano non sarebbe sufficiente.
IL PIANO 2021-2023 programma le azioni da mettere in campo nelle varie fasi che precedono, caratterizzano e seguono una pandemia. In tempo di pace (fase “interpandemica”) il piano prescrive di predisporre scorte di dispositivi di protezione, da sotto-pianificare a livello regionale, e di estendere le vaccinazioni contro i virus anti-influenzali che, a differenza di quelli contro il Covid-19, esistono da tempo. Si tratta di indicazioni piuttosto banali, che infatti erano presenti già nel piano del 2006. Eppure, il 2020 ci ha mostrato come persino queste siano state disattese. Durante la prima ondata, le mascherine a disposizione dei medici erano pochissime, e questo li ha costretti spesso a rimanere lontani dai pazienti o a rischiare la vita per assisterli. Anche la disponibilità di vaccini non è scontata (come mostra il flop delle vaccinazioni anti-influenzali in molte regioni). Servono fondi per partecipare agli acquisti centralizzati dall’Unione Europea e non sempre ci sono: «Per mancanza di finanziamenti, attualmente l’Italia non ha potuto aderire a uno specifico approvvigionamento della Comunità Europea», si legge nella bozza .
ALTRE INDICAZIONI del piano invece riflettono l’esperienza bruciante della pandemia di Covid-19. A differenza del piano del 2006, la bozza contiene indicazioni sulla gestione delle disponibilità di risorse sanitarie, come i posti letto in terapia intensiva, nel caso in cui la domanda superasse l’offerta com’è successo nel corso dei picchi pandemici del 2020. Secondo il piano, «quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio».
L’indicazione è stata accusata di cinismo, ma è una lettura moralistica: la definizione di regole pubbliche e condivise per la gestione di queste situazioni delicate è l’unico modo di sottrarle all’arbitrio delle scelte individuali, che altrimenti peserebbe sui singoli medici.
Il piano prevede altre indicazioni sensate come la creazione di diecimila posti letto di terapia intensiva (ma mancano i rianimatori), l’attività di formazione e comunicazione per operatori e popolazione sul rischio epidemiologico, le procedure per il rapido adattamento della rete ospedaliera. La medicina territoriale, il vero punto debole del servizio sanitario alle prese con la pandemia, appare invece piuttosto trascurata dal piano: si parla di “potenziamento dell’attività delle Usca” e di “inclusione nel supporto alle attività pandemiche” (sic) dei medici di base. Ma quale debba essere il loro ruolo non viene precisato.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento