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2 agosto, ferita aperta

2 agosto, ferita aperta

Bologna Una petizione per ottenere la totale apertura degli archivi

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 29 luglio 2015

Anni di promesse non mantenute hanno stancato i familiari delle vittime della strage della stazione di Bologna. E così, in vista del 35° anniversario della strage neofascista (85 morti e 200 feriti), le dichiarazioni sono dure.
Le promesse non mantenute dal governo Renzi sono tre: i risarcimenti e gli indennizzi alle vittime; l’introduzione del reato di depistaggio; la reale apertura degli archivi che potrebbero dire di più sul contesto in cui sono maturate le stragi, e soprattutto sui mandati. Cosa non di poco conto visto che per la bomba alla stazione di Bologna sono stati condannati all’ergastolo i neofascisti dei Nar Mambro e Fioravanti, più Luigi Ciavardini, condannato invece a 30 anni, ma a mancare sono ancora i nomi dei mandanti.
«L’obiettivo da raggiungere al più presto possibile è quello di dare piena attuazione alla legge 206 per il risarcimento alle vittime delle stragi», diceva il 2 agosto di un anno fa il ministro Giuliano Poletti. E un anno prima a rappresentare il governo nella giornata del ricordo della strage era Graziano Del Rio. «Contiamo di garantire nel prossimo decreto sicurezza alcuni provvedimenti sui risarcimenti, i tempi potranno essere pochi mesi. Finalmente va a compimento un atto dovuto». Impegni che non si sono trasformati in fatti.
Sul web i familiari delle vittime hanno lanciato una petizione a cui hanno subito aderito le associazioni dei familiari delle vittime delle stragi del treno rapido 904, dell’Italicus, di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia, e di via dei Georgofili.
Si legge sulla petizione, firmata anche dal sindaco di Bologna Virginio Merola: «Credevamo di assistere alla svolta di un parlamento, di un governo che dopo decenni si era accorto della sua storia, fatta di centinaia di morti per terrorismo e stragi e di famiglie a cui è stata stravolta la vita e sospeso il diritto alla verità e alla giustizia. Credevamo di essere testimoni del fatto che i tempi fossero maturi per cambiare, per invertire il senso di questo perverso e inquietante sistema che nega alle vittime pure i risarcimenti. Ma un cambiamento a metà, non è un cambiamento, bensì un modo per continuare – da parte di chi ne ha interesse – a conservare il vecchio sistema con metodi diversi. Vi chiediamo solo di mantenere le vostre promesse: risarcimento e indennizzo per le vittime, introduzione nel codice penale del reato di depistaggio, e la reale declassificazione delle carte sulle stragi da parte di ministeri e servizi segreti».
In realtà, qualcosa è stato fatto, ma non basta assolutamente. Il reato di depistaggio è stato approvato a Montecitorio, ma poi si è arenato al Senato ad un passo dal voto decisivo. Per i familiari delle vittime «è chiaro l’interesse a bloccare una legge che mette in carcere i depistatori. Ma noi non intendiamo arrenderci». Di chi è la colpa? «Pd, Sel e M5S ci stanno, sono gli altri che si mettono di mezzo».
Il provvedimento per aprire gli archivi è stato formalmente preso: la cosiddetta direttiva Renzi del 22 aprile 2014 avrebbe dovuto provvedere alla «declassificazione della documentazione relativa a gravissimi eventi che negli scorsi decenni hanno segnato la storia italiana, con l’obbiettivo di rendere conoscibili in tempi più brevi tutti i documenti tenuti dalla pubblica amministrazione». La procedura annunciata dal premier non si è concretizzata come previsto, e i documenti resi disponibili dicono molto poco.
«Gli stessi apparati che fino ad oggi hanno tenuto ben chiuse le carte sulle stragi – si legge nella petizione on line dell’associazione 2 agosto – sono quelli a cui la direttiva affida il compito di renderle pubbliche. Senza nessun controllo esterno, lasciando a ministeri e servizi segreti la possibilità di preselezionare gli atti e scegliere cosa versare». Insomma, è «come se si fosse detto al ladro di consegnare la refurtiva e sperato che lo facesse».
E infine c’è la questione dei risarcimenti. La legge 206, che avrebbe dovuto provvedere ai risarcimenti, è stata approvata nel 2004, undici anni fa. Ma l’Inps si è messo di mezzo sollevando ben dieci questioni tecniche, di fatto fermando tutto. «Quello è un istituto che interpreta le leggi con l’obiettivo di non dare le pensioni. Almeno con noi fa così».
Amaro il commento dei familiari delle vittime: «Ad oggi stiamo ancora aspettando. Questo è il trattamento vergognoso subito dai familiari delle vittime e dai feriti contro il quale ci battiamo».

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