1984, c’era una volta la Lega. Quarant’anni dopo ce ne sono due
Matteo Salvini
Politica

1984, c’era una volta la Lega. Quarant’anni dopo ce ne sono due

Oggi l’anniversario della fondazione Domenica a Varese la festa decisa all’ultimo momento. Il partito di Salvini ha deluso il Nord
Pubblicato 7 mesi faEdizione del 12 aprile 2024

A Varese, in piazza del Podestà, davanti alla sede storica della Lega, fervono i preparativi per la grande festa, in realtà improvvisata all’ultimo momento, visto che fino a una settimana fa non se ne sapeva nulla e sembrava che l’anniversario sarebbe stato fatto passare sotto silenzio. L’appuntamento, firmato Lega per Salvini premier e Lega Giovani, è per le 11.30 di domenica. Sul manifesto, il guerriero padano sguaina lo spadone. La scritta, in rosso e blu, dice «Tanti auguri Lega Lombarda». Sopra, citando Nanni Moretti, la si definisce «Splendida quarantenne».

Mah. Come si dice in questi casi? Cento di questi giorni. Anche no. Lo stato maggiore leghista ha annunciato che ci sarà. Matteo Salvini pure, anche se il salvinianissimo segretario provinciale Andrea Cassani resta vago. Il fondatore Umberto Bossi è stato invitato, ma la sua presenza resta in (forte, fortissimo) dubbio. Domani, a Gemonio, paese del Senatur, gli «uomini liberi del Nord» non si sono dati appuntamento per «ringraziare l’uomo che 40 anni fa ci ha regalato un sogno di cambiamento e non ha mai smesso di lottare», si legge nel volantino apparso nel varesotto.

LA LEGA CHE OGGI FESTEGGIA il quarantennale è diversissima da quella nata dall’intuizione di Umberto Bossi il 12 aprile del 1984. Nelle chat dei leghisti della prima ora, in questi giorni, gira l’atto di fondazione della «Lega autonomista lombarda», firmato a Varese nello studio dell’avvocata Franca Bellorini. L’articolo 4 dello statuto recita così: «Scopo della Lega è il raggiungimento dell’autonomia amministrativa e culturale della Lombardia». Anni luce distante dal «Prima gli italiani» dell’attuale segretario federale.

La sbornia nazionalista e sovranista impressa da Salvini all’indomani della sua nomina a segretario, ormai dieci anni fa abbondanti, sembra passata. E i malumori rimasti in sottofondo grazie agli (allora) buoni risultati elettorali sono ormai venuti a galla. Quarant’anni di vita, la Lega (Nord o Salvini premier? Non è una differenza di poco conto) è il partito più vecchio presente nel parlamento italiano.

DALLE ORIGINI, i cambiamenti sono stati molti, e profondi. La Lega che fu è radicalmente diversa dalla Lega che è. Ma soprattutto, si chiedono i militanti, che Lega sarà? Probabilmente una risposta, e nemmeno definitiva, la si avrà all’indomani delle europee di giugno. Salvini si gioca molto del suo futuro politico, e lo sa. Da qui a giugno ogni mossa, ogni dichiarazione, saranno strumentali al recupero del consenso perduto. Intanto, però, gli ultimi insuccessi elettorali e l’abbandono dei temi identitari delle origini hanno sollevato non pochi malumori nella base.

La corrente organizzata dei dissidenti, il Comitato Nord, che gode del supporto del fondatore Umberto Bossi, ha le idee ben chiare. Paolo Grimoldi, ultimo segretario eletto della Lega Lombarda, ne è portavoce, e lo dice chiaramente: «Serve ridare al nostro partito un progetto politico o, detto in maniera più romantica, un sogno. Di sicuro lo hanno capito anche i sassi che se continuiamo a chiamarci ’Lega per Salvini premier’ non andiamo da nessuna parte. Salvini va ringraziato e anche applaudito per quello che ha fatto per la Lega, ma ora deve fare un passo di lato. Che continui pure a fare il ministro, ma lasci la Lega a chi può essere in grado di farla rinascere».

IN MOLTI STANNO abbandonando la nave che rischia di affondare. In Lombardia in particolare è Forza Italia che sta provando a fare incetta di voti nordisti, recuperando i temi una volta cari alla Lega e imbarcando ex leghisti. Marco Reguzzoni, ex enfant prodige del Carroccio e per anni nel cerchio magico vicino a Bossi, alle serate di presentazione del suo libro fa il pienone, e in platea sono molti i volti (più o meno noti) di leghisti delusi. Ma i militanti cosa pensano? Una posizione chiara, onestamente, non c’è. C’è chi difende il segretario, sempre e comunque, e chi invece qualche maldipancia lo palesa. A Travagliato, nel bresciano, un paio di giorni fa 14 iscritti alla sezione locale (tutti militanti della prima ora), tra cui l’attuale sindaco Renato Pasinetti, hanno scritto una lettera a Salvini.

«Dopo tutti questi anni e le tante battaglie combattute, noi non riconosciamo più la nostra Lega. Non sappiamo per chi, o per cosa, combattere. Non ci riconosciamo nella guida di Salvini, che è divenuta ondivaga e contraddittoria», scrivono. Di più: «Il vertice della Lega oggi rappresenta quello che per anni abbiamo combattuto: un partito romanocentrico, concentrato solo sulle poltrone e sugli incarichi retribuiti».

LE SCORSE SETTIMANE sono state giornate di tesseramento per il partito salviniano. A Cornate Brianza, sabato 30 marzo, nella piazza della chiesa c’era un banchetto leghista. Sotto il gazebo, quattro militanti parlottano tra di loro. Avvicinandosi, l’occhio cade sui gadget appoggiati al tavolino. C’è un foulard verde con stampata la firma di Umberto Bossi. «Oggi siamo un po’ vintage», dicono con un mezzo sorriso. A domanda diretta, «ma le politiche salviniane vi soddisfano?», abbozzano risposte vaghe, comunque difendendo il loro leader. Però, se gli si chiede quali temi sono prioritari per loro, non esitano a rispondere «Il Nord e il territorio». Qualche chilometro più a sud, in Martesana, alcuni militanti storici hanno abbandonato il partito.

«Una volta la Lega difendeva il popolo padano – dice uno di loro – adesso non mi ci riconosco più». L’ultima tessera della Lega è datata 2020. Poi basta. «Ho avuto problemi a livello locale – spiega – ma anche a livello nazionale non mi riconoscevo più nella linea salviniana». Accanto a lui, un altro ex leghista conferma: «Dall’arrivo di Salvini in segreteria ho visto il declino sempre più rapido della Lega». E poi, dicono, «cos’è questa storia di imbarcare gli ultimi arrivati, magari solo perché si spera di prendere qualche voto in più?». Domanda: «Vi riferite a Vannacci?». «Fai tu», la laconica risposta.

A VEZZA D’OGLIO, alta Valcamonica, ha casa Matteo Salvini. A pochi chilometri di distanza, a Ponte di Legno, Umberto Bossi era solito passare le vacanze da Bruno Caparini, storico leghista e amico del Senatur. Ora quelle terre sono un feudo di Caparini figlio, Davide. Già assessore regionale, ora presidente della commissione finanze in Regione Lombardia. Una potenza. Lo conoscono tutti. Tutti lo rispettano, e un po’ lo temono. «Qui da noi stiamo con Davide. Sosteniamo la candidatura di Silvia Sardone». Poi però se gli si chiede quali sono le cose che vorrebbe dal suo partito, si torna sempre al solito punto: autonomia e federalismo.

OVUNQUE, SOTTOTRACCIA, c’è un convitato di pietra: Luca Zaia. Che, quasi dappertutto, raccoglie consensi entusiasti. «Per me è il top», dice un leghista bresciano, che ricopre pure un ruolo importante nella locale sezione del partito. Alla fine, dalle valli bresciane e bergamasche alla bassa pianura lombarda, la domanda della base leghista resta sempre la stessa: «Dov’è finito il sindacato padano? Quel partito che difendeva gli interessi del territorio?». Al momento la risposta resta sospesa. Ma prima o poi, Salvini, o qualcun altro al suo posto, dovrà rispondere

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