1971, il balzo avanti del rock
Storie/Con il genere che entra nella sua piena maturità nasce anche la stampa underground In quell’anno escono alcuni dischi fondamentali, da «IV» dei Led Zeppelin a «Who’s Next» degli Who
Storie/Con il genere che entra nella sua piena maturità nasce anche la stampa underground In quell’anno escono alcuni dischi fondamentali, da «IV» dei Led Zeppelin a «Who’s Next» degli Who
Nel 1971, per l’edizione tascabile della sua Rock Encyclopedia, uscita da due anni, Lillian Roxon scrive per la nuova introduzione: «(…) sono successe un sacco di cose. Sono apparsi Crosby, Stills, Nash & Young e sono scomparsi. I Led Zeppelin sono diventati la band più famosa del mondo. I Beatles hanno chiuso bottega. I Jackson Five hanno portato il Madison Square Garden alla sua massima capacità di urlo (…) È venuto fuori che Iggy Pop è quanto di più sexy ci sia stato dopo Mick Jagger. E in una notte cosmica e assolutamente gloriosa, i Grateful Dead hanno mostrato al resto della nazione quello che San Francisco sapeva già da tempo, ovverosia che dal vivo sono la migliore band di ogni tempo. È impossibile fare queste e altre modifiche in questa edizione, ma non rinuncio a inserire un evento fondamentale del 1970-’71, la nascita della cosiddetta stampa rock underground come forza vibrante unificata». A parte le straordinarie intuizioni con cui la giornalista – nata, nel 1932, a Sanremo da esuli polacchi, cresciuta a Sidney, approdata a New York in piena controcultura, dove muore per un attacco d’asma a soli 41 anni – dipinge un’epoca (e un’epica) musicale in febbrile progresso, va notato come tenga a sottolineare l’emergere di una nuova giovane critica musicale, dai lei stessa in fondo anticipata di due anni.
Ed è un ragionamento che, nel 2016, forse il londinese David Hepworth ha ben in mente allorché scrive e pubblica 1971. Never a Dull Moment (uscito in Italia due anni dopo come 1971. L’anno d’oro del rock) in cui ribalta la storia musicale così come viene ormai tramandata proprio dall’inizio dei Seventies, quando il rock ha solo 17 anni di vita – vale come genesi l’uscita del 45 giri Rock Around the Clock di Bill Haley & His Comets – ma sta già offrendo una grande lezione di stile, di arte, di musica. Hepworth rivela, fra le molte analisi effettuate sui dischi dell’epoca, un dato fondamentale: che proprio nel 1971 i giornalisti e gli studiosi iniziano a chiamare rock (o rock music o musica rock in Italia) un sound che, fino ad allora, viene connotato con differenti termini o altre espressioni. Nessuno, forse, prima di Hepworth, vi fa caso, ma in realtà è proprio così: nei grandi eventi musicali che segnano l’affermarsi e il commercializzarsi delle controculture giovanili, dal Monterey Pop Festival a Woodstock e Wight, fino a tutti gli analoghi «raduni» organizzati tra il 1965 e il 1970, la parola rock non compare.
NEOLOGISMI
Tornando però a monte, in quel 1971 «rock» viene usato come abbreviazione di «rock and roll», colorita espressione inventata dal dj Alan Freed a proposito di alcuni dischi di rhythm’n’blues soprattutto chicagoani che trasmette alla radio e che riscuotono un immenso successo fra i teenager bianchi: da lì a Elvis Presley il passo è breve, così come è repentina l’adozione nel neologismo rock’n’roll (abbreviato pure in r’n’r): per esempio all’Atlantic, per lanciare diverse antologie con brani vecchi e nuovi di Ray Charles, LaVern Baker, Big Joe Turner, ossia musicisti più vicini al jazz, al soul, al blues che al rock’n’roll dei colleghi neri Little Richard, Chuck Berry, Fats Domino. Per breve tempo alcuni veri jazzmen, come Lionel Hampton o Dinah Washington, sono tentati dal r’n’r, che però dopo qualche anno, soccombe, quale danza giovanile, soppiantato da altri balli (il twist, anzitutto) su cui convergono ancora una volta le mire dell’industria discografica, tesa a convertire alla nuova moda cantanti e strumentisti afroamericani (persino il grande bluesman B.B. King registra un album di twist) che in fondo leggono la novità quale ennesima piccola deviazione della strada maestra della tradizione gospel e blues.
Il rock’n’roll però, contro il parere di scettici e detrattori, non muore, bensì prospera sotto altre forme nominali: è dunque rock il suono della British Invasion con la musica chiamata semplicemente beat, in onore sia dei Beatles sia della beat generation letteraria. Ed è via via la svolta elettrica di Bob Dylan, la sperimentazione dei collettivi di San Francisco (Grateful Dead), di Los Angeles (Frank Zappa, The Doors), di New York (Velvet Underground) e delle nuove band inglesi (Cream, Traffic, Pink Floyd, Soft Machine), il trio formato da un chitarrista immaginifico (Jimi Hendrix); per queste altre band vengono fuori termini come «psichedelia» e appunto un generico «pop», attorno al quale si coagulano anche il folk di protesta, il soul nero, il blues revival e tutto ciò che, quasi un decennio dopo verrà indicato di volta in volta come hard rock, art rock, prog rock, folk rock, country rock, space rock, glam rock e così via.
Perché dunque il rock proprio mezzo secolo fa? Lo spiega, nel suo libro, Hepworth, analizzando mese per mese le principali uscite discografiche su 33 giri, che proprio, in quell’anno, non solo a livello di vendite, sostituiscono il singolo nell’immaginario musicale giovanile, benché siano ancora tante canzoni a rappresentare l’ésprit du temps, dal gennaio di My Sweet Lord (George Harrison) al dicembre di Happy Xmas (War Is Over) di John Lennon & Yoko Ono; non a caso è un 1971 che anche per gli altri due ex Beatles (Ringo Starr e Paul McCartney) si presenta ricco di soddisfazioni: unicum nella storia di un gruppo sciolto, di cui tutti i membri vantano da solisti per ancora un biennio il successo di pubblico e critica.
LO SPIRITO DEL TEMPO
Oggi, da almeno trent’anni, dall’Inghilterra agli States, il rock pullula di premi, trofei, medaglie, onorificenze, ma se nel 1971 fosse esistito il britannico Mercury Prize Music per Hepworth finalisti risulterebbero senza dubbio album modernissimi come Hunky Dory (David Bowie), Every Picture Tells a Story (Rod Stewart), Who’s Next (The Who), IV (Led Zeppelin), Imagine (Lennon), Ram (McCartney), Madman Across the Water (Elton John), Sticky Fingers (Rolling Stones), Aqualung (Jethro Tull), The Yes Album (Yes). Lo stesso dicasi negli Stati Uniti dove ora i Grammy Award glorificano la quantità, mentre la critica indica nomi sconosciuti, ma nel 1971 Tapestry (Carole King), There’s Riot Goin’ On (Sly Stone), Blue (Joni Mitchell), Pearl (Janis Joplin), American Pie (Don McLean), L.A. Woman (Doors) Mud Slide Slim (James Taylor), At Fillmore East (Allman Brothers Band) vengono unanimemente apprezzati tanto dagli ascoltatori quanto dagli esperti. Persino la nascita di un nuovo cantautorato angloamericano negli anni Dieci, passa attraverso la conoscenza e la passione per lp di nicchia, tutti datati 1971, come i britannici Bryter Layter (Nick Drake), Bless the Weather (John Martyn), The North Star Grassman and the Ravens (Sandy Denny) e a stelle-e-strisce White Light (Gene Clark) e Album II (Loudon Wainwright III), accanto ai più familiari Kris Kristoffferson, Harry Nilsson e CSN&Y. Invece nei dischi black di Isaac Hayes, Sly Stone, Curtis Mayfield, Gil Scott-Heron, Norman Whitfield, s’avvertono microelementi, senza i quali non esisterebbe l’hip hop, così come lo si conosce dagli anni Ottanta e Novanta.
Lo stesso discorso vale per rock band eterogenee come gli inglesi Black Sabbath, gli americani Little Feat, i tedeschi Can, dalle sonorità allora inconsuete per non dire avveniristiche: oggi consentono ai nuovi dischi di rubacchiare «un po’ qua e un po’ là e alcuni dei prestiti più caratteristici riguardano le trame, i ritmi, i tic musicali» proprio di Master of Reality, Little Feat, Tago Mago.
Infine nel 1971 accanto a rock appare sempre più la parola jazz a indicare unitamente jazz rock o rock jazz la sintesi lanciata da Miles Davis con Bitches Brew appena un anno prima, ma che ora sta vivendo un primo grande boom: il trombettista si ripete con l’album Tribute to Jack Johnson (colonna sonora dell’omonimo documentario) e con i molti live dai Fillmore East e West; alcuni suoi collaboratori esordiscono in proprio, ad esempio, Joe Zawinul e Wayne Shorter con il quintetto Weather Report nell’album omonimo, John McLaughlin con la Mahavishnu Orchestra di Inner Mounting Flame, mentre anche i compagni navigati abbracciano la causa rock, ad esempio Herbie Hancock con Mwandishi, Airto Moreira con Seeds on the Ground, Tony Williams con Ego (a nome del suo Lifetime); anche questa è una pagina tutta da scrivere: nel momento in cui il rock, diciassettenne, tocca l’apogeo creativo, inizia ad allearsi con una musica, il jazz, che di anni ne ha 54, stando al primo disco inciso: e insieme (come fusion) o separati (tra postbop e postfree) faranno ancora molta strada.
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