Visioni

1969: guarda che luna. La memoria del teatro povero di Monticchiello

1969: guarda che luna. La memoria del teatro povero di MonticchielloUna scena da «Colòni» – foto di Emiliano Migliorucci

Palcoscenico In «Colòni» lo sbarco degli astronauti e le illusioni di emancipazione dei lavoratori nelle campagne toscane

Pubblicato più di un anno faEdizione del 3 agosto 2023
Gianfranco CapittaMONTICCHIELLO (SIENA)

Il bellissimo centro in Val d’Orcia, subito sotto Pienza, ci dà come ogni anno il suo racconto, gestito e interpretato dai suoi abitanti in una delle sue belle piazze. Colòni è quest’anno il titolo di quello che loro hanno sempre chiamato «autodramma», perché gli abitanti ne sono oltre che interpreti anche «autori», anche se ormai da tre anni per scrittura e «regia» portano il loro aiuto Giampiero Giglioni e Manfredi Rutelli. Ma rispetto agli ultimi tentativi, questa volta si può dire che il «teatro povero di Monticchiello» riconquista davvero la sua tradizione di maggior pregio, giocando sulla propria complessa memoria. Il racconto si svolge infatti nel 1969: la rappresentazione annuale (appena alla terza edizione allora, incentrata su un episodio di guerra partigiana del 1944) da parte degli abitanti del borgo turrito, nel cuore delle crete senesi della Val d’Orcia, era nata da pochissimo, mentre la valle, come tutte le zone agricole del nostro paese, soffriva lo spopolamento delle campagne, «festeggiando» alla rovescia la fine della mezzadrìa. Ma proprio in quell’estate del 1969, l’inizio delle recite coincise con una tappa storica dell’intero nostro pianeta: per la prima volta un piede umano toccò il suolo del satellite lunare.

Gestito e interpretato dai suoi abitanti, è in scena fino al 14 agosto

NELL’EUFORIA mondiale che accompagnò quel risultato scientifico, e il suo valore simbolico, anche la popolazione di Monticchiello si abbandonò all’entusiasmo. Accompagnato dai festeggiamenti, ma anche dalle illusioni che i criteri scientifici di cui lo sbarco degli astronauti era frutto, potessero garantire anche a chi si trovava espulso dal mondo agricolo in cui era cresciuto, un radicale cambiamento di prospettiva. Se «colòni» di ogni avvenire scientifico e geografico apparivano agli occhi di molti Armstrong e Aldrin, scesi sul suolo lunare dall’Apollo 11 lanciato da Cape Kennedy, colòni di una nuova società, della sua organizzazione e della condivisione dei beni, si illusero e si ritennero i molti spettatori (ma soprattutto quelli più ingenui) del miracolo tecnoscientifico che si compiva in quello sbarco. Il progetto Apollo come si sa fu del resto abbandonato dalla Nasa pochi anni dopo.

L’ENTUSIASMO contadino, le sue illusioni e il suo desiderio, certo ingenuo ma assai profondo e sentito, di emancipazione da parte dei lavoratori nelle campagne toscane, dà quindi la stura nello spettacolo a una serie di episodi e comportamenti che oggi ci possono far sorridere e riflettere, ma che allora scatenarono molti curiosi episodi di costume. Su questi si innesta questa volta il racconto di Monticchiello: sull’entusiasmo e sull’ingenuità di massa, degli adulti capaci di sopravanzare i giochi dei propri figli, che senza remore a quelle illusioni potevano affidarsi con scatenata quanto giustificata fantasia.

IN QUEGLI episodi da classica «commedia all’italiana», il racconto di quest’anno si dipana, con delicatezza pudica ma anche con fantasia che porta alla risata. I fenomeni di quei giorni lontani, e le disillusioni poi maturate, danno vita a un nuovo affresco di vita civile forzatamente «rinsavita» dopo l’ubriacatura. E che in quella sobrietà trova la forza e la necessità di tornare ad affrontare asprezze e necessità della vita quotidiana. In una sorta di rincorsa, da parte degli adulti, verso le iniziative e i giochi dei bambini, che del gran circo lunare volevano emulare coinvolgimento e potenzialità. Per lo spettatore arrivano invece molte risate, e qualche amarezza.
Colòni ci mostra senza essere crudele quello sbandamento, la cui via d’uscita, se così si può dire, è fatta anche dello stesso teatro, una attività civile che da allora qui ha preso piede: senza nascondersi le asperità (e le illusioni) del gioco, ma che ci può forse aiutare a capire più chiaramente quello che è meglio fare nell’interesse di tutti. Basti pensare, rimanendo ai temi sulla scena, ai pericoli ecologici o alla macchina degli armamenti. Una funzione profondamente civile insomma, che è poi quello che il «teatro povero di Monticchiello» si è prefisso fin dalle sue origini, più di cinquant’anni fa, e continua a perseguire.
Lo spettacolo si replica tutte le sere fino a lunedì 14 agosto (e porta anche l’attrattiva di poter mangiare squisitezze toscane alla Taverna del Bronzone, approntata per l’occasione dalla stessa compagnia che ha realizzato lo spettacolo).

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