Cultura

1928, una spedizione finita male e la salvifica Tenda rossa

1928, una spedizione finita male e la salvifica Tenda rossaLa spedizione del dirigibile Italia, 1928

Scaffale Nel 1928, il dirigibile Italia si schiantò sui ghiacci. Alcuni sopravvissero trovando degli oggetti che li aiutarono a resistere. Il libro «Dall’artico a Milano. Il restauro della Tenda rossa al Museo nazionale scienza e tecnologia Leonardo da Vinci» offre molto più di quanto il titolo non lasci presagire. Lungi dall’essere una mera analisi tecnica, si presenta come un originale contributo alla storia delle esplorazioni ai poli nel contesto dell’Italia fascista

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 6 febbraio 2024

Il 25 maggio 1928 il dirigibile Italia, partito dalla Baia del Re (isole Svalbard) due giorni prima con l’intenzione di raggiungere il Polo Nord, si schianta sui ghiacci artici. L’equipaggio del dirigibile viene smembrato: sei occupanti vengono sbalzati nell’atmosfera e mai più ritrovati; nove, tra cui il comandante Umberto Nobile e la sua cagnetta Titina, trovano salvezza sul pack.

SPARSI TRA LE NEVI e il ghiaccio i sei superstiti hanno la fortuna di rinvenire alcuni oggetti che gli permetteranno di sopravvivere 48 giorni in condizioni estreme, tra cui una tenda in tela di seta progettata per resistere alle temperature artiche (la famosa Tenda rossa, che rossa non è) e una piccola radio, Ondina 33, con la quale il marconista Giuseppe Biagi sarebbe riuscito a segnalare la posizione dei naufraghi ai soccorritori.
Fin dal rientro in Italia dei superstiti nell’estate 1928, gli oggetti della spedizione artica entrano a far parte della narrazione giornalistica orchestrata dal regime fascista. È in particolare la Tenda rossa a conquistare l’immaginario degli italiani e delle italiane, forse incuriositi dal fatto che la tenda, prodotta dalla ditta Ettore Moretti, è tutto fuorché rossa: di pianta quadrata (270×270 cm) e di struttura piramidale (250 cm di altezza), è di color avorio per la parte esterna e in taffetà di seta blu petrolio per quella interna; era stato solo per renderla visibile agli sperati soccorritori aerei che i superstiti dello schianto l’avevano dipinta con dell’anilina rossa (fuxina), un prodotto chimico presente in quantità sul dirigibile dato che veniva impiegato per determinarne la quota.

ROSSA O MENO CHE FOSSE, la tenda viene immediatamente riportata in Italia ed esposta da agosto a settembre 1928 presso il Castello Sforzesco di Milano. Nel giugno 1934 la tenda viene acquisita dal Museo navale didattico di Milano ed esposta al pubblico in quanto «oggetto radicato nell’immaginario collettivo grazie ai media e all’imponente macchina comunicativa messa in piedi prima per seguire il volo dell’Italia, poi per raccontare le ricerche di Nobile e del suo equipaggio».
Esposta l’ultima volta per la mostra del 70/o anniversario della spedizione nel 1998, la Tenda rossa, di proprietà del Comune di Milano, ma in comodato d’uso al Museo nazionale di scienza e tecnologia Leonardo da Vinci dal 1952, è stata oggetto di un accurato lavoro di restauro avviato nel 2008 da Cinzia Oliva.

NUOVAMENTE ACCESSIBILE al pubblico da febbraio 2023, la Tenda rossa è ora anche al centro di una recente pubblicazione delle Edizioni Ca’ Foscari (collana Disclosing collections, pp. 128, euro 48,00 ma disponibile al download in open access sul sito dell’editore) curata da Marco Iezzi e Giovanni Pietrangeli.
Dall’artico a Milano. Il restauro della Tenda rossa al Museo nazionale scienza e tecnologia Leonardo da Vinci offre in realtà molto più di quanto il titolo non lasci presagire. Lungi dall’essere una mera analisi tecnica del restauro (a cui vengono comunque dedicate pagine interessanti dalla stessa Oliva), il libro si presenta come un originale contributo alla storia delle esplorazioni artiche nel contesto dell’Italia fascista, offrendo quindi uno spaccato inedito (se si esclude il recente collettaneo curato da Armiero, Biasillo e Morosini per Routledge) della dimensione a tutti gli effetti coloniale e imperialista dell’esplorazione dell’estremo nord.
Non solo: Dall’artico a Milano è un valido contributo metodologico alla storia delle esplorazioni, mettendo al centro non solo l’evento in sé, ma anche il valore generativo e mitopoietico degli oggetti che lo raccontano.
Arricchito da un imponente apparato fotografico e documentario, Dall’Artico a Milano invita così a riscoprire, non senza una certa inclinazione avventurosa, «un’epoca – quella delle esplorazioni geografiche e di quelle polari in particolare – ancora vicina nel tempo, ma definitivamente tramontata».

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