14 migranti muoiono travolti da un treno
Confine greco-macedone Balcani, tragedia di terra per chi fugge da Afghanistan e Somalia, sotto tiro anche della violenza poliziesca. Le testimonianze dirette: camminavano sui binari «per non perdersi»
Confine greco-macedone Balcani, tragedia di terra per chi fugge da Afghanistan e Somalia, sotto tiro anche della violenza poliziesca. Le testimonianze dirette: camminavano sui binari «per non perdersi»
Erano fuggiti da zone di guerra, da violenze, sopravvivendo alla traversata via mare per raggiungere le isole del mar Egeo, ed erano arrivati due giorni fa al confine tra la Grecia e la Fyrom (l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia). Ieri il loro lungo viaggio verso il nord, é stato tagliato bruscamente da un convoglio ferroviario che ha travolto uccidendoli 14 profughi, afghani e somali, tutti sotto i 30 anni.
Centinaia di migranti si radunano ogni giorno al confine settentrionale della Grecia, a pochi metri dalla dogana, dove passa il treno internazionale che parte da Salonicco diretto a Belgrado e poi va verso Monaco e Trieste. Da quando i controlli ai porti di Patrasso e Igoumenitsa sono diventati severi e i maltrattamenti degli agenti della guardia costiera si sono moltiplicati, la traversata dei Balcani é la nuova via dei profughi. Al confine la polizia greca chiude un’ occhio di fronte alle condizioni disumane dei rifugiati in questo lungo viaggio verso Germania, Svezia e Norvegia. Da una parte del confine il paesino greco Eidomeni, dall’altra Gevgelija. Lì, nella parte greca, nascosti tra alberi, cespugli, stoppie e case abbandonate aspettano ogni giorno il tramonto per incontrare il trafficante che li porterá fino la capitale serba.
Ieri la notizia della morte dei loro compagni di viaggio giunta poche ore dopo alla piccola comunitá di immigrati ha sconvolto tutti. Non ci credevano che le persone che il giorno prima stavano con loro erano morte così tragicamente.
Il treno internazionale partito appunto da Gevgelija era diretto verso Skopie. A 110 km dal confine e a 50 a sud della capitale Skopie, vicino al paese Rayko Zinzinov (il poeta bulgaro originario della zona), in una zona montuosa, camminava proprio sui binari, per non perdersi, un gruppo di almeno 50 migranti. Il treno é apparso all’improvviso dopo una curva. Il macchinista ha cercato di rallentare, ma era troppo tardi. Il convoglio ha investito in pieno i giovani rifugiati: 14 i morti, un numero impreciso di feriti. Dal resto del gruppo alcuni sono stati arrestati, altri sono riusciti a fuggire.
«Seguiamo sempre la linea ferroviaria per non sbagliarci e non perderci, sopratutto quando la zona é montuosa» ci dice Mohamed. «Quando cammini nove e dieci ore consecutive sei talmente stanco che non vedi, ne senti bene. Quando sei assonnato, il corpo ovviamente rallenta» aggiunge. Vassilis Tsartsanis, giornalista disoccupato che dall’autunno 2014 aiuta i profughi «ingabbiati» nella zona di confine tra i due paesi, ricorda che pochi riescono a evitare gli agenti slavomacedoni che picchiano indiscriminatamente, come pure le bande criminali che rubano tutto.
Che gli agenti della polizia slavomacedone sono feroci lo raccontano gli stessi migranti ritornati in territorio ellenico. Omar, 17 anni dalla Syria ci racconta come é stato malmenato selvaggiamente da due poliziotti. Rabi, 21 anni, proveniente dalla cittá Hama in Syria, viaggiava in treno diretto verso la Germania. Per il viaggio, nonostante che avesse il passaporto regolare, aveva pagato 1200 dollari. A una settantina di kmda Skopie, la polizia ha fatto scendere dal treno 24 persone. Due afghani, gli altri tutti siriani.
«Ci hanno portato alla stazione della polizia. Hanno preso le nostre impronte digitali e dopo hanno cominciato a picchiarci, urlando “mother fucker” e varie altre bestemmie. Eravamo cosi per tante ore, dopodiché ci hanno accompagnati fino al confine con la Grecia, dove ci hanno lasciato dicendoci di non tornare mai piú perché avremmo rischiato la vita». Shiraz Sparrown, 21 anni che era studente al Higher Institute of Business Administration di Damasco, ha vissuto un’esperienza simile. «Eravamo un gruppo di 12-13 persone, tra di noi una famiglia con due bambini. Tutti con i passaporti. Pochi chilometri dopo il confine le autoritá hanno sequestrato i nostri passaporti, i cellulari, i nostri soldi. Bestemmiavano contro la Syria, la Grecia e contro di noi. Hanno addirittura preso gli anelli d’oro che qualcuno aveva. Ci hanno malmenato con i maganelli, mentre tiravano uno dei bimbi per i capelli. Ci hanno minacciato con le loro armi da fuoco».
Di fatto né le minacce, né l’incidente di ieri o i pericoli della traversata via mare e tantomeno il nuovo piano Ue per gestire l’ emergenza migrazione che prevede il rimpatrio forzato, fa rinunciare questi giovani rifugiati al loro lungo viaggio verso il nord Europa. Intanto nel loro lungo viaggio, dopo Belgrado, si aggiungono i kosovari: a 7 anni dall’indipendenza autoproclamata fuggono in centomila solo dall’inizio del 2015.
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