Alias Domenica

12 artisti e i disegni di Aldo Loris Rossi, sprazzi di città fra realtà e utopia

Tobias Zielony, Overshoot 1, 2024, courtesy dell’artista e Galleria Lia Rumma, MI-NATobias Zielony, Overshoot 1, 2024, courtesy dell’artista e Galleria Lia Rumma, MI-NA

A Napoli, Museo Madre «Il resto di niente», a cura di Eva Fabbris

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 14 luglio 2024

Per comprendere una città se ne possono osservare le automobili. I modi in cui sono guidate e vengono parcheggiate, come attraversano spazi più o meno definiti e vi permangono. E poi le targhe, le marche e i modelli, le colorazioni, gli accessori e le personalizzazioni. Quindi, andare a scoprire il particolare nell’imperfezione, ricercando la ricorrenza delle ammaccature sulle carrozzerie, le lesioni sui parafanghi e sui paraurti, i cerchioni sbrecciati, gli sfregamenti sulle fiancate. È su queste superfici irregolari che si imprimono le ombre cicatrizzate delle varie qualità dell’esperienza urbana. Come un unico flusso di codici intrecciati agli individui e alle altre cose, da un capo all’altro della metropoli, dall’incidente scaturisce la fredda scintilla di una confidenza sincera, spietata. Quando la città urta, spinge, fa male e si accartoccia, raramente sta mentendo.

La Lamborghini Urus e la Volkswagen Polo, meticolosamente disegnate a carboncino su carta da Angharad Williams, invece, sono intatte, come appena uscite dalla catena di montaggio. Esposti al Museo Madre di Napoli, in occasione della mostra Il Resto di Niente (fino al 29 luglio), i ritratti fotorealistici delle due auto sembrano distanti dall’immagine della città tanto rivoluzionaria quanto effimera, plasmabile ma anche friabile, raccontata da Enzo Striano nel romanzo che presta il titolo all’esposizione. Proprio questa estraneità ci rammenta che ogni città è percorsa da varie altre città, talvolta prossime oppure sfuggenti.
Curata dalla direttrice del Madre Eva Fabbris con Giovanna Manzotti, da un’idea di Sabato De Sarno, direttore creativo di Gucci, la mostra vuole lasciare esprimere liberamente, come associazioni di pensiero e macchie di Rorschach, le tracce dei mutamenti e delle permanenze di un’area come quella partenopea che, per tradizione e convenzione, è narrativamente eccedente, al punto da diventare emblema di alterità per altre metropoli. Per farlo, si mette in dialogo una lunga sequenza di disegni di Aldo Loris Rossi (alcuni dei quali a quattro mani con Donatella Mazzoleni) con le opere di artisti di varie generazioni, provenienze e ascendenze: Vincenzo Agnetti, Giulio Delvè, Ozgur Kar, Donatella Mazzoleni, Franco Mazzucchelli, Jim C. Nedd, Sara Persico, RM (Bianca Benenti Oriol e Marco Pezzotta), Domenico Salierno, Nanda Vigo, Angharad Williams, Tobias Zielony.

I progetti dell’architetto che portò a Napoli l’ultima inflessione di un Razionalismo riletto in chiave utopistica, restituiscono la configurazione profonda – vertebrale – di una teoria e di una politica urbane. Come muscoli e tendini, le opere si integrano con questa struttura, fino agli strati di epidermide, rileggendola in forme nuove e inaspettate. Il futuro disegnato da Rossi sembra scorrere in controluce e fulmineo, tra le superfici ritmate di alluminio dei Cronotipi di Nanda Vigo, per poi adagiarsi sul feltro sul quale Vincenzo Agnetti incise i suoi ritratti aforistici: «Abitato dalle strade e dai ricordi». Popolate da fantasmi lunari sembrano le grandi architetture della Casa del Portuale e del Complesso residenziale di Piazza Grande, tra le realizzazioni più iconiche di Rossi, che giganteggiano nelle asciutte geometrie fotografiche di Tobias Zielony. Ci lascia invece immergere tra i marciapiedi della Napoli granulosa degli anni novanta la suadente voce della contrabbandiera di sigarette, che fa da paesaggio sonoro al poetico video in bianco e nero di Domenico Salierno.

Allora, dall’alto al basso, tra angoli e concavità, morbidezze e resistenze, si scandisce un percorso di ampia varietà formale, in contrappunto con l’inscalfibile linea degli sketch architettonici, come a mettere in discussione le categorie urbanistiche troppo rigide e le griglie dei piani regolatori, le ipotesi di sviluppo e i modelli di risanamento, in una sfida tra la nitidezza del progetto e gli spigoli inimmaginati della realtà.

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