Lavoro

1.425 volte no ai licenziamenti

1.425 volte no ai licenziamenti

Indesit A Fabriano 5mila in corteo contro gli esuberi e la delocalizzazione in Turchia e Polonia

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 13 luglio 2013

La prima istantanea è quella di una signora un po’ in là con gli anni che piange. Lavora nel settore pubblico, dice, ma è scesa in piazza al fianco dei lavoratori della Indesit «perché è in gioco il futuro di Fabriano e quello dei nostri figli». Una manifestazione da cinquemila persone in un posto così piccolo fa un effetto strano: il serpentone umano di bandiere e fischietti è quasi un inedito assoluto da queste parti, compresso nelle vie più strette, lungo quasi come tutto il centro cittadino. Gli agenti della digos osservano il variopinto panorama umano, tra sindaci con la fascia tricolore sopra il doppiopetto di ordinanza e autonomi dei centri sociali che sembrano quasi sbarcati da Marte.

In realtà ogni cosa è una testimonianza, dell’orgoglio ferito, di una comunità tradita, di un futuro dipinto come magnifico ma che tarda ad arrivare e che, anzi, si sospetta non arriverà mai. Lo striscione che apre il corteo è emblematico: «Indesit, 1425 volte no. La Storia siamo noi». Serve De Gregori per spiegare la protesta.

La famiglia Merloni ha dato da mangiare per anni a migliaia di marchigiani, ma è vero anche il discorso inverso: è grazie a migliaia di marchigiani che hanno sacrificato il loro tempo tra le linee della fabbrica che la famiglia Merloni ha prosperato per decenni. E adesso questa storia degli esuberi e della delocalizzazione in Turchia e Polonia «perché lì costa meno» viene letta come un colpo basso sferrato a freddo.

«Siamo veramente tantissimi – dice con una punta di stupore nella voce Gianluca Ficco, coordinatore nazionale del settore elettrodomestici della Uilm –, la partecipazione è di gran lunga superiore alle nostre aspettative». Ma fermarsi alle sole presenze, per quanto numerose, sarebbe riduttivo: tutta Fabriano ha abbassato i battenti per questa nuova giornata di lotta, nella rinascita di una solidarietà che sembrava estinta da tempo. Insieme alle tute blu e ai sindacati, infatti, hanno marciato i colletti bianchi, ma anche famiglie intere, sindaci, rappresentanti delle associazioni di categoria, persino il governatore regionale Gian Mario Spacca.

Da Caserta – sede di un altro stabilimento Indesit – sono arrivati in 700, e in mezzo alla folla sono comparse anche delegazioni da altre industrie di elettrodomestici come Whirlpool e Electrolux. Nel mezzo, si mischiano tanti discorsi: rivendicazioni di diritti dati per acquisiti ma perduti nel tempo, indignazione, il classico coro «lavoro, lavoro»: Fabriano, per ora, resiste.

«Di fronte alla conferma, da parte della direzione aziendale di Indesit – si legge in una nota congiunta di Fiom, Fim e Uilm –, dei tagli produttivi e occupazionali prospettati, della chiusura degli stabilimenti e della delocalizzazione delle produzioni come unica soluzione per tutelare gli azionisti e il profitto dell’azienda, il Coordinamento sindacale del Gruppo ha interrotto il confronto in corso, confermando la propria contrarietà ad un piano che abbiamo definito inaccettabile.

La scelta di Indesit rappresentaun fatto grave, non condivisibile e da contrastare con tutte le iniziative necessarie per affrontare con l’Azienda una strada alternativa di prospettiva e di salvaguardia dell’occupazione e delle produzioni».

Gli unici attimi di tensione della mattinata si sono registrati a manifestazione ormai chiusa, quando un gruppo di operai ha cercato di entrare nel quartier generale della Indesit, per due volte. La prima si è risolta con la polizia in antisommossa a fare da scudo al palazzone, mentre per la seconda ci hanno pensato gli stessi operai a far sì che la situazione non degenerasse: una barriera umana ha sbarrato l’ingresso, con il sindacalista Uilm Vincenzo Gentilucci che scandiva: «Noi ai violenti! No ai violenti!».

Questa prova di forza è il preludio a quello che si prospetta come il vero incontro decisivo, lunedì, nelle stanze del ministero dello Sviluppo Economico a Roma. Dopo un primo incontro a vuoto, infatti, azienda, istituzioni e parti sociali torneranno a vedersi, nel tentativo di trovare una soluzione.

I più ottimisti vedono una luce in fondo al tunnel, resta da capire se sia una via d’uscita o un treno ad alta velocità pronto ad abbattersi su quel che resta del lavoro nelle Marche.

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