Il 30 settembre 2016 le Nazioni unite hanno nominato una commissione d’inchiesta sul Burundi per analizzare le violazioni dei diritti umani nel Paese a partire da aprile 2015. Periodo in cui, a seguito di gravi disordini, migliaia di persone avevano lasciato il Paese in cerca di sicurezza. L’incipit era stato l’annuncio del presidente Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato quando la Costituzione ne prevedeva un massimo di due.

IL SEGUITO È LA FUGA di circa 400 mila persone di cui 200 mila nella vicina Tanzania (184.000 distribuiti nei campi di Nduta, Mtendeli e Nyarugusu) che adesso dopo 4 anni il governo ospitante, in accordo con il Burundi, vorrebbe rimpatriare al ritmo di 2000 persone a settimana. Come ha dichiarato il ministro degli interni tanzaniano Kangi Lugola: «In accordo con il governo burundese e in collaborazione con l’Alto commissariato per i rifugiati, inizieremo il rimpatrio di tutti i rifugiati burundesi dal 1 ottobre». Il ministro ha poi continuato sostenendo che il Burundi è attualmente in pace e aggiungendo di avere «informazioni secondo cui le organizzazioni internazionali, stanno ingannando le persone, dicendo loro che non c’è pace in Burundi». Tuttavia, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) fa notare che «anche se in Burundi la sicurezza generale è migliorata, le condizioni non sono favorevoli alla promozione dei rimpatri».

L’AGENZIA STA AIUTANDO i rifugiati che scelgono volontariamente di rientrare nel Paese, ma sia le autorità tanzaniane che burundesi lamentano il ritmo lento con cui avvengono i rimpatri sostenendo che così si alimenta la violenza nei campi. Infatti uno dei timori è che i campi diventino luoghi, come avvenuto in passato, dove si organizzano movimenti contro il governo. La scelta viene spiegata come un modo per controllare meglio le persone all’interno delle proprie frontiere e nel contempo per presentarsi alla comunità internazionale come un Paese sicuro, dove le elezioni del 2020 possono svolgersi regolarmente.
Il Paese in effetti appare sicuro, anche se, secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia Human Rights Watch, le autorità sarebbero responsabili di «dozzine di pestaggi, arresti arbitrari, sparizioni e uccisioni contro membri dell’opposizione politica reali o presunti». È una situazione di calma sospesa, come racconta Cyprien (nome di fantasia e un passato da migrante in Italia): «Come da voi nelle zone di ’ndrangheta tutto è tranquillo, non c’è neanche bisogno di ammazzare troppo, basta far sparire una o due persone ogni tanto».

Il rapporto della Commissione di inchiesta sul Burundi varata dalle Nazioni unite conferma il «clima di paura e intimidazione nei confronti di tutte le persone che non mostrano il proprio sostegno al partito al potere, il Conseil national pour la défense de la démocratie-Forces pour la défense de la démocratie (Cndd-Fdd). I giovani del partito, i cosiddetti Imbonerakure, gli agenti del servizio di intelligence nazionale e la polizia continuano a commettere gravi violazioni dei diritti umani contro i cittadini del Burundi e la crisi scatenata nel 2015 è ben lungi dall’essere risolta, anzi si è evoluta al punto da colpire tutti gli angoli del Paese».

Il rapporto accusa gli Imbonerakure di omicidi, arresti arbitrari e torture, una violenza alimentata dalla diffusa impunità. «Oggi è estremamente pericoloso parlare criticamente in Burundi» spiega il presidente della Commissione, Doudou Diène. «Il soffocamento delle voci critiche è ciò che consente al Paese di presentare l’illusione di calma», aggiunge la camerunense Lucy Asuagbor, membro della stessa commissione. Come il britannico Françoise Hampson, che aggiunge: «Una calma basata sul terrore».

NEL TESTO SI SPECIFICA che le violenze “non esistono” perché non c’è chi le racconta, data l’assenza di media indipendenti, a causa di un sistema giudiziario disfunzionale e anche per la recente chiusura dell’ufficio nazionale dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani. La Commissione è attualmente l’unico meccanismo internazionale indipendente che indaga sugli abusi commessi in Burundi.

I commissari chiedono quindi al governo di porre fine alle violenze da parte di agenti dello Stato e Imbonerakure. Inoltre sottolineano l’urgente necessità di attuare misure per prevenire il deterioramento della situazione dei diritti umani nel contesto delle elezioni del 2020. E viene invitata la comunità internazionale alla massima vigilanza sul Burundi, applicando il «Quadro di analisi per potenziali atrocità» sviluppato dall’Ufficio delle Nazioni unite per la prevenzione del genocidio (il rapporto ha riscontrato in Burundi tutti gli otto “fattori di rischio”). A Bujumbura siede anche un ministro per i Diritti umani, Martin Nivyabandi, il quale ha però rigettato le accuse dell’Onu, formulate a suo dire senza aver prima «dialogato con le autorità».

Le conclusioni a cui è giunta la Commissione si basano su oltre 1.200 dichiarazioni di vittime, testimoni e presunti autori di violazioni dei diritti umani e altre fonti raccolte nel corso di tre anni di indagine. Quest’anno il governo del Burundi ha ancora rifiutato qualsiasi cooperazione con la Commissione, nonostante le ripetute richieste.

DOMENICA 22 SETTEMBRE in tutte le chiese cattoliche del Burundi si è letto il messaggio dei vescovi che esprimevano la loro preoccupazione a otto mesi dalle elezioni presidenziali del 20 maggio per le «aggressioni di alcuni partiti politici e le persecuzioni nei confronti di membri della Chiesa: atti criminali che arrivano fino all’omicidio… Nella maggior parte dei casi le vittime sono coloro che hanno opinioni diverse da quelle del governo». Gli Imbonerakure hanno «preso il posto delle forze di sicurezza», secondo i vescovi, i quali sul rimpatrio dei rifugiati auspicano che «le elezioni si possano svolgere dopo rimpatri volontari e senza costrizioni». Willy Nyamitwe, consigliere e portavoce del presidente,ha replicato che «i vescovi hanno l’abitudine alla vigilia delle elezioni di sputare odio velenoso».

GLI SPETTRI CHE SI MUOVONO nel Paese e il modus operandi per mettere a tacere ogni voce di dissenso trovano esèpressione nell’annullamento del rilascio dei passaporti da parte delle ambasciate: se vuoi rinnovare il documento devi andare nella capitale Bujumbura oppure diventare un clandestino. In questo clima viene da pensare che il celebre ensemble dei Tamburi del Burundi, patrimonio Unesco e simbolo di festa, pace, unità, non suonerà più per un bel po’ di tempo. Speriamo di sbagliare.