In questi giorni è stato dato un rilievo prevalentemente economico ad una notizia che, enfatizzata anche sotto il profilo dei contenuti, apre uno scenario nuovo per la fuoriuscita dal fossile del sistema elettrico nazionale.

Durante una affannosa rincorsa ad accaparrarsi gas proveniente da pozzi e da regioni lontane, con investimenti in apparati complessi come i rigassificatori che peggioreranno la biodiversità locale e protrarranno nel tempo le emissioni di CO2, il 22 Marzo una serie di comunicati ufficiali, impreziositi dai logo ufficiali di tre grandi imprese, ha formalizzato la costituzione di una rilevante joint venture tra Eni, Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e un forte partner danese (Cip), il più grande gestore di fondi dedicato agli investimenti verdi nelle rinnovabili. Un accordo convergente e vincolante per rendere operativi a regime 3GW di nuova capacità verde, ottenuta con eolico galleggiante a 30 Km dalle coste del Tirreno (Civitavecchia) e delle grandi isole italiane.

La realizzazione – si comunica – sarà affidata ad un team di lavoro congiunto, affiancato da Nice Technology e 7 Seas Wind Power, società italiane che si avviano a consolidare la loro esperienza nel comparto offshore, incoraggiando la crescita occupazionale e professionale anche della filiera produttiva locale. La stima del progetto complessivo è di circa 5 TWh (2 milioni di famiglie ai consumi attuali) e la sua operatività è prevista tra il 2028 e il 2031, a valle della conclusione dell’iter autorizzativo e dei lavori di installazione.

L’annuncio era stato preceduto dalla decisione, avveduta e localmente apprezzata, di rinunciare da parte di Enel al progetto di conversione della centrale a carbone in un turbogas da 1840 MW a Torrevaldaliga Nord.

Gli annunci sono benvenuti, ma occorrerà che i livelli di partecipazione dal territorio e di adesione ai principi di precauzione e sostenibilità rimangano vivi ed immutati per non affrontare la messa in opera dei nuovi impianti come una mera operazione di tecnica industriale. Le implicazioni sociali ed ambientali, seppur favorevoli sulla carta, andranno valorizzate nello specifico passo dopo passo.

Non si può fare a meno di constatare che l’avvio di una riconversione dal gas al vento e al sole è maturata a Civitavecchia in un contesto di straordinaria partecipazione democratica che, andando oltre al contrasto all’impiego del metano, ha saputo costruire le condizioni per una coalizione sociale che ha favorito l’incontro di una pluralità di soggetti ed ha tradotto in politica la pressione sociale per liberarsi dall’inquinamento.

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Non si può fare a meno di riflettere sul fatto che il processo innescato sul Tirreno ed ora in estensione al Mediterraneo è il frutto di una lunga, meditata ed elaborata riflessione, supportata e inverata da un dibattito tutt’altro che scontato e scandita da scioperi, mobilitazioni, lotte e assemblee, di cui sono stati meritevoli protagonisti comitati locali, studenti, tecnici e ricercatori, dirigenti ed iscritti a sindacati territoriali e nazionali – talvolta in conflitto tra loro – forze politiche ed istituzioni coinvolte, fino ad arrivare a rendere credibile e cantierabile la sostituzione del gas con una combinazione di vento sulle distese marine lontane dalla costa, sole sulle pensiline del porto, idrolizzatori, pompaggi e batterie di stoccaggio.

Forse comincia a traballare l’ipotesi del governo Cingolani-Draghi e dell’attuale, di dilazionare i tempi per l’abbandono del gas. E perfino l’Eni, dopo la rinuncia dell’Enel al turbogas di Torrevaldaliga, si comincia a rendere conto che il clima e le guerre non tollerano un residuo fossile nel mix energetico oltre il 2050.

Ovviamente, un sistema di energia fino ad ora centralizzato non si sostituisce con un improvvisato “fai da te”. Occorre ricorrere ai gradi più avanzati di tecnologia ed efficienza ed a strutture manifatturiere che operano da attori specializzati e affidabili.
Certamente va monitorata la presenza di grandi interessi economici e finanziari anche nell’esecuzione di progetti decentrati e a carattere territoriale – come abbiamo dovuto constatare perfino nel caso dell’acqua – ma credo che, nei progetti di elettricità verde, l’attenzione ormai consolidata dei cittadini e il loro diritto a codeterminare le scelte, possano sconfiggere ogni prevaricazione.

Gli strumenti di partecipazione non mancano e sono indispensabili per far crescere la conoscenza e l’informazione, consegnando ai soggetti titolati quei poteri permanenti di contrattazione che devono valere anche nella fase post-progettazione.

Potrà nascere occupazione qualificata ed un numero cospicuo di nuove professioni, oltre che nuove filiere nazionali sostenute anche da finanziamenti dal Pnrr alla luce del sole. Il fatto che due partecipate statali – Enel e Eni – ne saranno in qualche modo coinvolte, mette anche l’aspetto della programmazione nelle mani della democrazia politica e sociale. Un passo in avanti assai rilevante, che tuttavia, non assolve il governo da guardare altrove con l’impianto del vecchio Piano nazionale integrato energia e clima.