Ben 2,3 miliardi di persone cuociono tuttora a fuoco aperto con legna, carbonella e altri combustibili solidi respirandone i fumi per ore ogni giorno. Un numero ancor più elevato di terrestri ricorre ai combustibili fossili. Per tutti, a ogni latitudine, la tecnica della cucina solare, salutare, a zero emissioni, gratuita nell’utilizzo, non richiedente infrastrutture, appare un’alternativa necessaria e possibile. Da integrare con altre fonti – si parla di Integrated solar cooking – visto che il suo (unico) limite per funzionare è la necessità dei raggi solari.

IL MAGGIORE IMPATTO CHE PUO’ AVERE l’utilizzo di un forno solare applicato in situazioni svantaggiate riguarda la riduzione della deforestazione (ma anche della fatica delle donne in cammino alla ricerca di qualcosa da mettere sotto la pentola, o costrette a sborsare denaro per l’acquisto) e il contenimento delle malattie cardio-polmonari dovute all’inalazione dei fumi da combustione: in Africa si tratta della seconda causa di morti premature dopo la malaria, come si legge nel comunicato dell’Associazione internazionale dell’energia (Iea) organizzatrice del primo Vertice internazionale sui sistemi di cottura pulita in Africa, lo scorso maggio a Parigi.

ALLA «SOLUZIONE DEL POPOLO», la cucina solare diretta, si dedica ormai dal 1987 l’organizzazione capofila Solar Cookers International (Sci), con interventi sul piano culturale, umanitario, tecnico e contatti operativi in 135 paesi, caldi e freddi, poveri e abbienti.

IL CONTRIBUTO ALLA DECARBONIZZAZIONE è l’altro grande valore di un piatto cotto al sole risparmiando, anche in Occidente, i combustibili fossili o il nucleare. Sottolinea l’attivista Mercedes Mas: «Dobbiamo contrastare l’assunto portiamo le cucine solari in Africa ma continuiamo a usare tranquillamente i combustibili fossili a casa nostra». Aggiunge Alessandro Varesano, inventore del forno solare Helio: «Non deve passare il messaggio che la cucina solare è solo una risposta alle emergenze altrui: c’è anche una questione, universalmente valida, di qualità del cibo; c’è chi lavora soprattutto su quello».

COSI’ A CON-SOL-FOOD, GRANDE EVENTO internazionale periodico nel quale si incontrano esperti di tutto il mondo, viaggiano insieme soluzioni per casi di emergenza e scelte di ecologia e indipendenza. La Germania per esempio ha una grande tradizione, anche se paga una stagionalità importante. Del resto, fu uno scienziato della vicina Svizzera a costruire, nel 1767, il primo forno solare: una scatola coperta con vetri.

TUTTAVIA, LE CUCINE SOLARI ATTIVE in tutto mondo sono intorno ai 4 milioni, secondo Sci. Ancora poche, considerati i vantaggi. Il convegno di Parigi ha stanziato 2,2 miliardi di dollari in investimenti e nove governi africani si sono impegnati a fare dei metodi di cottura puliti una priorità, anche in omaggio ai 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sdg). Ma siamo sicuri che punteranno anche sulla cucina solare? Non è scontato.

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«IL NOSTRO OBIETTIVO E’ INTRODURRE l’energia solare termica per la cottura, la sterilizzazione dell’acqua e l’essiccazione, in zone dove il potenziale esiste ma l’adozione non procede rapidamente come sarebbe auspicabile». Da anni Sci interviene in situazioni come il campo profughi keniano di Kakuma, fra i più popolati al mondo (200.000 abitanti), o ad Haiti, dove il destinatario delle cucine solari costruite in loco è un orfanotrofio. In Burundi è il progetto spagnolo Erasmus+ Vet to Stop Deforestation a promuovere le cucine solari nella lotta alla grave deforestazione, mirando anche a creare opportunità di lavoro tecnico per giovani, con l’appoggio del ministero burundese dell’educazione.

«SOLAR COOKERS IN KENYA», DEL 2021, è la tesi di due dottorandi della Chalmers University of Technology (Svezia) che hanno confrontato l’efficacia e l’accettabilità sociale di diversi modelli utilizzati in alcuni villaggi kenioti (nel paese la cottura solare è presente in un sistema integrato di tecniche migliorate, ma solo l’1% della popolazione vi fa ricorso). Il dispositivo solare più indicato nel contesto è risultato il JiKoni, struttura conica a pannelli con materiale riflettente flessibile, arrotolabile, «abbandonabile» e adatta anche ad altri usi stagionali (raccolta dell’acqua piovana). La questione culturale, certo, pesa: la cucina solare è vista come cosa da poveri (non è così in Occidente).

L’UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE, insieme all’Associazione italiana cucina solare (con l’ingegner Nicola Ulivieri) e alla Ong Cvm, ha condotto uno studio sull’utilizzo effettivo dei forni solari in due villaggi dell’Etiopia, ai quali sono stati consegnati 12 prototipi del modello Kimono Solar Cooker ideato dall’ingegner Matteo Muccioli. I problemi riscontrati serviranno a riformulare il progetto. Dai dispositivi non conformi al prototipo, per difficoltà di trovare in loco i materiali, all’uso di pentole non adatte da parte degli utenti (la terracotta ha fatto crollare le prestazioni), alla taglia extralarge delle famiglie, alla difficoltà di imparare l’utilizzo. Aspetti tecnici a parte, l’autore del prototipo fa osservare che «per imparare a usare il Kimono sono sufficienti un paio di cotture; non richiede una presenza assidua; per le famiglie numerose avremmo consigliato lo sviluppo di forni solari di comunità, difficilissimo però da far passare».

E LE FOTOVOLTAICHE ALTERNATIVE... ai forni solari? Intervenendo a una conferenza online di Solar Cookers International, Jeevan Kumari Jeetan, direttore presso il ministero delle energie nuove e rinnovabili dell’India (dove il 38% delle famiglie usa combustibili tradizionali – legna, kerosene, biomasse, segatura; e il 62% gas, elettricità, biogas, Png e Lpg), si è soffermato in realtà sui piani governativi per incentivare in diverse località «sistemi termici solari di cottura comunitaria» (con grossi concentratori parabolici), e sulla Strategia nazionale per diffondere – parallelamente ai piani di megaparchi fotovoltaici – «soluzioni di cottura basate sul fotovoltaico».

SONO I FORNELLI A INDUZIONE ALIMENTATI a energia solare e con batterie termiche. Dunque, la cottura con l’energia elettrica da fonte rinnovabile. Il villaggio Bancha nel Madya Pradesh è passato dall’uso della legna da ardere alle cucine a induzione per tutti. Una soluzione ovviamente molto più costosa dei fornelli e forni solari diretti. A livello decentrato, è impossibile per ora e nel prossimo futuro che ogni famiglia possa avere un impianto sufficiente a mantenere modelli di cottura a induzione, che seppure efficienti – cottura veloce – hanno bisogno di potenza.

Quanto all’ipotesi di infrastrutture fotovoltaiche in rete che consentano in ogni casa la soluzione dell’induzione, il vicepresidente di Aics Matteo Muccioli osserva: «Non esiste una soluzione univoca al problema di cosa mettere sotto la pentola. Esistono tante proposte e ognuna ha una propria traduzione tecnologica. Il fatto che l’India investa sulle rinnovabili è importante. Ma un’infrastruttura di questo tipo richiede tempo. Intanto, comunque, le cucine solari dirette hanno una loro funzione, pulita, economica e accessibile».