Riammesso da Elon Musk su X (ex Twitter) nel novembre del 2022, solo ieri, il 25 agosto, Donald Trump ha pubblicato il suo primo post: la foto segnaletica scattata dopo il suo arresto formale in Georgia, dovuto all’accusa di aver tentato di sovvertire il risultato delle elezioni del 2020 in quello Stato. Accanto alla foto anche un link che rimanda alla pagina ufficiale della campagna elettorale che, nelle sue intenzioni, dovrebbe riportarlo alla Casa Bianca nel 2024. E oltre 120 milioni di impression a testimoniare che l’ex-Presidente americano più discusso e controverso dai tempi di Nixon è ancora in grado di fare dei social network una delle principali basi del suo successo politico, oltre e a dispetto della capacità di influenza dei grandi giornali che, in gran parte, gli sono ostili: la debolezza e la lentezza del logos contro la forza e la velocità evocativa del sentimento religioso.

Non quello istituzionale delle Chiese ma del movimento feroce e integralista dei fanatici chiamati alla (ri)conquista del mondo. Perché la sua non è una foto qualunque ma si propone come una vera e propria icona; tanto più potente perché (apparentemente) involontaria, scattata dalle autorità e resa ora dal marketing politico il simbolo di un’America che rifiuta l’ordine sociale e culturale liberale. Dei ragazzi che hanno studiato, degli uomini di mondo, delle donne emancipate e della libertà sessuale. Ma anche, e forse soprattutto, di quel capitalismo globale che ha mandato all’aria i mondi e le sicurezze economiche di tanta parte dei ceti popolari occidentali, ricevendo indietro la minaccia del caos.

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Se vogliamo cogliere tutta la forza della nuova icona trumpiana – e il nocciolo duro dello scontro politico in atto, a livello mondiale – è però all’immaginario costruito dalla letteratura europea sulla Russia che dobbiamo rivolgerci. In particolare, ai romanzi di Carrére e Lilin. Al modo, cioè, in cui il mondo post-sovietico è entrato, con mille contraddizioni, nella globalizzazione e di come in America e in Europa ci siamo, alla fine, riflessi in quei travagli che hanno generato una nuova mitologia politica. Trump è infatti un uomo sopra le righe, un avventuriero, uno che ce l’ha fatta senza mai diventare integrato: un ricco intrinsecamente non-establishment in grado di mettere insieme il kitch, il glamour, il politicamente scorretto e il nazionalismo, in modo naturale. Esattamente come il Limonov di Carrére quando, ritornato in Russia all’indomani della fine dell’Urss, si imbarca con Dugin nell’avventura dei nazional-bolscevichi.

Non è quindi un caso che tra l’assalto alla Casa Bianca di Mosca del 4 ottobre 1993 – al quale partecipò quella formazione – e l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 – animata dai sostenitori di Trump – ci siano tanti parallelismi simbolici (e non solo). Ma l’icona trumpiana non è solo la rievocazione di un barbaro-pop di nuovo all’attacco dell’Impero. È oggi quella di un santo e un bandito. Anzi, di uno costretto a diventare un bandito, uno perseguitato dalla legge dei ricchi e dei potenti, perché un santo. Di queste figure romantiche e avventurose è da sempre ricchissimo l’immaginario popolare, anche del nostro Paese: basti pensare a Sante Pollastri o al banditismo post-unitario.

Ma è ancora una volta in un romanzo, quello di Lillin sui siberiani deportati da Stalin in Transinistria – la vicenda è in gran parte frutto di invenzione letteraria – che ritroviamo figure simili al santo-bandito Trump: i protagonisti dell’Educazione siberiana conservano e venerano icone di santi e madonne armati. E se li tatuano addosso.

Tra gli uni e gli altri non c’è confine né contraddizione perché il popolo che non si piega all’establishment è sempre entrambi.

I Trump e i Putin si muovono e traggono tutti forza da questa cultura neo-arcaica e popolare codificata dalla nostra letteratura e cresciuta nelle pieghe della reazione alla globalizzazione. Essa è altrettanto globale e trasversale e, forse, esplosa nell’epicentro di tutte le contraddizioni contemporanee – il mondo post-sovietico – dilaga ora dal Texas a Parigi – e fa la guerra nel cuore dell’Europa. Ecco perché la foto su X di Trump non è solo un’immagine ma una vera e propria arma puntata al cuore delle società democratiche.