Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che impone nuove sanzioni contro la Turchia e ha parlato con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per esprimere il disappunto statunitense riguardo l’operazione militare in Siria.

Le sanzioni consistono in un aumento del 50% delle tariffe sull’acciaio e nella sospensione dei negoziati su un accordo commerciale da 100 miliardi di dollari. Il decreto consente anche un’escalation delle sanzioni nei riguardi di «chi è coinvolto in serie violazioni dei diritti umani, nell’ostruzione del cessate il fuoco, nell’impedire il rientro degli sfollati, nel forzato rimpatrio di rifugiati o nel minacciare la pace, la sicurezza e la stabilità in Siria».
Ulteriori misure potrebbero prendere la forma di «provvedimenti finanziari, sequestro di proprietà e divieto all’ingresso negli Stati uniti».

Dopo che per giorni il presidente ha twittato e dichiarato che quello che sta avvenendo in Siria non è un problema americano in quanto se dovesse esserci un ritorno di Isis avverrebbe, per prossimità, in Europa, ora ci ripensa e intima alla Turchia di «non mettere in pericolo» i successi registrati nella regione contro il Califfato e di avere come «priorità quella di proteggere i civili, soprattutto le vulnerabili minoranze etniche e religiose nel nordest della Siria».

Il presidente Usa non ha però menzionato embarghi a forniture belliche, come ha fatto notare alla Cnn il suo collega di partito e oppositore interno John Kasich. La situazione militare è delicata: la Turchia, come membro della Nato, ospita circa 50 armi nucleari nelle sue basi Usa.

E la presenza di bombe a gravità nucleare B61 nella base aerea di Incirlik, a circa 100 miglia dal confine siriano e che l’aeronautica americana condivide con la controparte turca, sta complicando i calcoli di Washington.

Secondo il New York Times, nei giorni scorsi i funzionari dell’amministrazione Trump hanno valutato l’opzione di spostare le bombe, diventate ora ostaggio di Erdogan. Ma farlo in questo momento segnerebbe di fatto la fine dell’alleanza turco-americana.

I piani per rimuovere le bombe sono stati spesso considerati ma mai messi in atto perché, anche in assenza di un conflitto con la Siria che coinvolge il popolo curdo, la situazione è già complessa: le bombe sono una reliquia della guerra fredda, senza alcuna funzione operativa in un piano di guerra, ma per rimuoverle gli Stati uniti dovrebbero usare dei loro aerei perché la Turchia non ha aerei certificati per trasportare armi nucleari.

Negli ultimi trent’anni le discussioni in seno alla Nato riguardo il dislocamento degli ordigni hanno visto l’opposizione degli Stati membri tra cui la Turchia, che le considera simboli dell’impegno Usa a difenderla.

La dipendenza di Trump dal suo agire d’istinto e dalle sue relazioni lo ha portato a ignorare le conseguenze di una mossa che lo mette in una posizione di scacco con la Turchia e a fare un favore a Russia, Iran e pure Stato islamico,

Ora toccherà al vice presidente Mike Pence andare ad Ankara per cercare di imporre una specie di cessate il fuoco tra Turchia, Siria e forze curde.