Per 4 giorni di convention Donald Trump è stato un soggetto parlato e non parlante, raccontato ed incensato da decine di testimonial che ne hanno teso le lodi con una liturgia di elogi. La sua presenza era ovunque su i manifesti, i cartonati, i gadget, su i megaschermi che trasmettevano il suo arrivo al forum, mandando in visibilio la sua base. Un’icona silenziosa ed evocativa. Poi, alla fine del quarto giorno, ha parlato per 95 minuti filati, il discorso di accettazione della nomination più lungo di sempre, battendo il record che aveva stabilito nel 2016, 70 minuti.

Nelle intenzioni doveva essere un discorso pacificatore con lo scopo di mostrare al Paese e del mondo che un attentato cambia le persone. Un discorso posato e introspettivo. E invece è stato un discorso fatto a voce bassa e monocorde quando il tycoon si atteneva a quanto era scritto sul teleprompter, per poi abbandonare il testo preparato per divagare, spaziare, partire per la tangente, in puro stile Trump.

“Non dovrei essere qui” ha detto Donald Trump a inizio del discorso, raccontando il tentato assassinio, e ha continuato descrivendo con dettagli vividi la sua esperienza traumatica della settimana scorsa, aggiungendo che non lo racconterà un’altra volta perché è “troppo doloroso da raccontare”.

“Ho sentito un suono vicino e ho sentito molto male all’orecchio – ha raccontato Trump – Mi sono detto, wow, cosa è? Ho abbassato la mano ed era piena di sangue. Ma mi sono sentito molto al sicuro perché avevo dio dalla mia parte. Non dovrei essere qui, e se sono davanti a voi è per grazia di Dio onnipotente”. Poi ha chiesto un minuto di silenzio per Corey Comparatore, l’ex vigile del fuoco morto nell’attentato e ha baciato la sua tuta che era sul palco.

Da lì in poi i momenti introspettivi sono stati più rari.

Trump chiesto ai democratici di “mettere immediatamente fine alla strumentalizzazione del sistema giudiziario, etichettando l’avversario politico come nemico della democrazia” e ha chiamato l’ex speaker della Camera Pelosi “Crazy Nancy”, facendo partire gli applausi dei delegati. Ha promesso “la pace in America e nel mondo” e ha attaccato Joe Biden: “dobbiamo salvare il paese da una leadership totalmente incompetente. Abbiamo un’inflazione che sta rendendo la vita insostenibile alle famiglie come mai prima”.

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Ha promesso la più grande espulsione di migranti nella storia Usa e che il primo giorno allargherà le trivellazioni petrolifere e chiuderà il confine col Messico. É tornato a parlare di “China virus”, il virus cinese, riferendosi al Covid, e alle elezioni del 2020,  ha affermato che “hanno usato il Covid per imbrogliare. Poi abbiamo avuto quell’orribile, orribile risultato che non permetteremo mai più che accada, il risultato elettorale. Non permetteremo mai che ciò accada di nuovo. Hanno usato il Covid per imbrogliare. Non permetteremo mai che accada di nuovo”.

Ha fatto commenti favorevoli sui leader che vengono evitati dall’Occidente: il dittatore nordcoreano Kim Jong-un isolato da gran parte della comunità internazionale (“Sono certo gi mancargli”), e il primo ministro ungherese Viktor Orbàn, criticato all’interno dell’Ue per le sue posizioni illiberali e solidali nei confronti del presidente russo Vladimir Putin.

Nel complesso, secondo il conto tenuto dalla CNN, Trump ha fatto più di 20 affermazioni false. Molte sono quelle a cui ci ha abituati e che ha già fatto in passato, anche per anni, abbracciando un’ampia gamma di argomenti, tra cui l’economia, l’immigrazione, la criminalità, la politica estera e le elezioni.  Alcune sono state macroscopiche, altre solo delle piccole esagerazioni.

Alcune erano nel testo preparato sul teleprompter (come quella di aver lasciato in eredità all’amministrazione Biden un mondo in pace), e altre le ha improvvisate (come le solite bugie secondo cui i democratici hanno imbrogliato nelle elezioni del 2020 e che gli Stati Uniti stanno vivendo la peggiore inflazione mai avuta).

Alla fine, quando la folla ormai applaudiva con un po’ meno vigore, è partita la tradizionale pioggia di palloncini che scende dal soffitto per avvolgere il nominato del partito e consacrarlo ufficialmente come candidato in corsa per la casa bianca. Per la prima volta i palloni che sono scesi non sono stati solo bianchi rossi e blu, ma si sono tinti anche di bagliori dorati, e non poteva esserci una firma più appropriata per questa nomination, che usare il colore sobrio preferito da The Donald: l’oro zecchino.