C’era Ahmed che tagliava i capelli con le sue forbici da barbiere e il cliente seduto su uno sgabello trovato chissà dove. Un angolo dell’enorme camerone, abbastanza fango, qualche trave caduta dal soffitto, foglie marce portate dentro dal vento tra bottiglie vuote e stracci. L’istituto di bellezza degli ultimi della terra: un fratello che taglia gratis i capelli ai migranti dentro al Silos. Poi Ahmed se n’è andato, chissà verso dove, un furgone blu, una decina di poliziotti, tu sì tu no e un gruppetto di ragazzi sparisce senza nemmeno il tempo di dire ciao.

Trasferimenti, a spizzichi e bocconi, quelli che dovrebbero avere tempi certi e invece passano mesi e in tutto il mondo pare non esista un luogo che abbia quel minimo di dignità per essere definito accoglienza. Così dicono da Roma e lo ribadisce il prefetto mostrando di non pensare che se è così la responsabilità è esattamente e soltanto loro. E allora si dorme al Silos e non ci sono parole per descrivere lo schifo e la vergogna. Quelli che aspettano una riposta dalla questura per il loro diritto all’asilo, quelli che dalla questura tentano ancora di avere un appuntamento, quelli che vogliono solo ripartire verso il fratello, l’amico, la famiglia che ha trovato un posto, un lavoro, un tetto, nella sconosciuta ricca Europa.

I richiedenti asilo dormono poco riparati, nel fango e tra i sassi, sotto piccole tende o su cartoni tra coperte appese alla bell’e meglio tra i muri pericolanti. Un polpastrello mangiucchiato, la t-shirt piena di buchi, un braccio arrossato dalle punture, la quotidiana condivisione di spazi con ratti e insetti di ogni tipo. Il Silos, a due passi dalla Stazione di Trieste e dalla piazza che si chiama Libertà ma da anni è diventata la Piazza del Mondo.

Ci sono entrati in tanti, gente comune per condividere una giornata con i migranti ma anche il vescovo Trevisi che ha aperto un nuovo dormitorio a bassa soglia (un modello di intervento sociale indirizzato agli adulti in situazione di estrema difficoltà) ma sa che è poco, troppo poco, e continua a chiedere che l’amministrazione pubblica faccia il proprio dovere. C’è stata Tatiana Bucci che ottant’anni fa proprio da lì partì per Birkenau e che da sopravvissuta dai lager ha voluto rivedere i luoghi del suo dramma di bambina. Dentro il Silos si è coperta il viso con le mani ed è scoppiata in lacrime: “Mi sembra di essere tornata a Birkenau, povera gente, si faccia qualcosa. Povera gente, non è ammissibile una cosa così”

Il sindaco Roberto Dipiazza? Esplicito e senza mezzi termini: “Chissenefrega”. Lo ha ripetuto per anni. Poi, mentre mezza città chiedeva che si riaprissero gli spazi di un ex mercato coperto, pronto e agibile proprio lì a due passi, per dare ai migranti almeno un tetto e un lavandino, ha cavato dal cappello la soluzione “ostello scout”, isolato lassù sull’altopiano, e di questa soluzione – che fa acqua da diverse parti – si è fatto vanto anche il ministro Piantedosi. Tutto risolto, a sentirli, ma passa il tempo e sembrava che tutto fosse stato dimenticato.

Restano in centinaia ogni notte nel Silos e ogni pomeriggio in tanti nella Piazza del Mondo dove c’è sempre Lorena Fornasir a curare le ferite e i tanti che portano da mangiare e scatoloni di scarpe e vestiti e sorrisi: arrivano dalla città, dalla Regione, dal resto d’Italia e anche dall’estero perché quella quotidiana ostinata presenza ha costruito una rete incredibile di solidarietà.

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Piazza piena ogni sera, pentoloni e qualche asse a far da tavola per i piatti da riempire, le panchine come infermerie, qualche volta si riesce anche a ballare, a giocare a palla o a fare un girotondo perché magari ci sono bambini, i bambini delle famiglie curde che arrivano così spaesate e disabituate al traffico delle città da attraversare la strada stringendosi l’un l’altro senza guardare.

Sarà che ormai il Silos è conosciuto anche fuori d’Italia, sarà per questa piazza che gli grida “vergognati” con la sua sola presenza, ecco che il sindaco ha firmato la fatidica ordinanza di sgombero: via dal Silos tutti, tempo due settimane.

Chissà che vuotando il Silos non si vuoti anche la piazza, pensa sicuramente il primo cittadino “tutto decoro e turisti” e “Trieste bellissima”. Per portare dove questa gente fuggita dall’Afghanistan o dalla Siria? Non si sa. A sentire quel che racconta il sindaco sembra che una qualche entità trasferirà non si sa dove quelli che ci sono e quelli che arriveranno saranno destinati alla soluzione “campo scout”.

Peccato che la soluzione sia ancora in attesa che si comincino alcuni lavori di riqualificazione, tipo rifare l’impianto fognario così da evitare che il pozzo nero tracimi come è già avvenuto. Nelle piccole palazzine e nel parco del campo scout per fare cosa? Quale assistenza, quali servizi, quali prospettive? E comunque “quelli che arriveranno” continuano ad arrivare, senza soluzione di continuità, una quarantina al giorno di media. E la maggior parte è fatta di transitanti, compaiono e scompaiono nell’arco di un paio di giorni, hanno altre mete, non vogliono fermarsi in Italia. La stazione dei treni è il loro obiettivo, la piazza del mondo un momento di calore, il Silos il tremendo ma obbligato momento di pausa.

Petizioni, lettere ai giornali, messaggi sui social: “Riaprite l’ex mercato coperto!” e adesso “Sgombero? E poi? E stasera, e domani?”. ICS scrive comunicati rabbiosi, consiglieri di minoranza protestano, interrogano, sia in Comune che in Regione, ma per la destra la risposta resta una sola: cacciare la gente da quell’obbrobrio che è il Silos, fine.

Intanto in piazza si aspetta, occhi e orecchie in allerta ma i giorni passano e sembra tutto come sempre. Ieri sono arrivati tre ragazzini siriani, stanchissimi, sdruciti, pestati dalla polizia bulgara e ributtati in Turchia, adesso a Trieste con le cento piaghe raccolte nei Balcani ma in piazza c’è Adeel che a Peshawar faceva l’infermiere nell’emergenza e si mette a fianco di Lorena a scegliere bende e pomate. C’è Adnan, però, con una ferita profonda e Gianni, medico arrivato proprio ieri da Chiavari, lo vede e se lo prende in macchina e lo porta al pronto soccorso. Più tardi ecco una famiglia afgana con due bimbi piccoli: stavano in Olanda, praticamente inseriti, ma sono cascati nella rete di Eurodac – la banca delle impronte digitali – che li ha visti transitanti dalla Croazia e li ha quindi rimandati là con volo dedicato. Regolamento di Dublino docet e infatti si chiamano “dublinanti” e non sono pochi quelli che si ritrovano rimandati indietro dopo che si stavano costruendo il futuro.

In questo caso beffa e danno moltiplicati: Zagabria non li ha voluti e li ha rimessi in strada. Arrangiatevi. Ed eccoli a Trieste con gli occhi spaventati, senza un’idea di dove andare ma, dicono, almeno la famiglia è rimasta unita ché poteva andare peggio.

Questa è la Piazza del Mondo, questa l’umanità che si accampa nei 5.000 mq del Silos e che sindaco e prefetto vogliono sgomberare. Via dagli occhi, via dal salotto buono, è solo questo che conta. E stavolta si farà davvero, a costo di tenerli nascosti quel tanto che basta: il 7 luglio a Trieste ci sarà la visita del Papa. Facile prevedere che entro quella data il Silos sarà stato blindato. Ci mancherebbe che quel cristiano convinto del vescovo ci porti dentro Francesco a vedere cos’è la tragedia della non accoglienza, l’orrore della porta d’ingresso in Italia dalla rotta balcanica.