Il rinnovato cessate il fuoco tra le due fazioni che si stanno combattendo in Sudan dal 15 aprile è stato subito violato in molte zone del paese africano. È la quinta volta che la tregua non viene rispettata e l’esercito sudanese ha accusato le Forze di Supporto rapido (Rsf) di aver approfittato del cessate il fuoco per un attacco nell’area di Jabal Awliya, villaggio su una grande via di comunicazione a circa 40 chilometri dalla capitale Khartoum.

UN ATTACCO che sarebbe stato respinto dai governativi e che avrebbe anche inflitto pesanti perdite ai paramilitari di Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemeti, leader delle Rsf. Le accuse sono però reciproche: la Bbc riportato le voci degli abitanti di Khartoum secondo cui l’aviazione, fedele all’esercito, non ha mai smesso di bombardare le posizioni delle Rsf per tutta la notte.

Chi può scappa dalla capitale dove i cittadini stanno avendo enormi difficoltà a trovare cibo e acqua potabile. Avventurarsi per le strade è molto pericoloso. Gli ospedali sono ormai al collasso e si contano in tutto il paese oltre 500 morti dall’inizio dei combattimenti.

La redazione consiglia:
Nuova tregua tra El Burhan e Dagalo, i sudanesi non ci credono

Ma gli scontri sono feroci anche in altre regioni soprattutto in Darfur, dove i paramilitari schierano una parte consistente dei propri centomila uomini. Proprio sui combattimenti in Darfur, il corrispondente di Al Jazeera ha lanciato un allarme di scontro etnico.

Le tribù arabe si starebbero schierando dalla parte delle Forze di Supporto rapido lanciando attacchi contro gli abitanti non arabi del Darfur, soprattutto intorno a Geneina.

I GRUPPI ARMATI locali, che hanno firmato un accordo di pace nel 2020, hanno dichiarato di essere pronti a schierare le proprie forze se lo riterranno necessario. Gli scontri in questa zona non permettono di raggiungere il confine con il Ciad, dove l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati sta allestendo campi di accoglienza per le migliaia di persone che cercano di arrivare. L’esercito sudanese ha anche accusato i paramilitari di aver sparato contro un aereo turco inviato per evacuare i cittadini di Ankara ancora presenti in Sudan.

L’aereo è stato colpito in fase di atterraggio nel piccolo aeroporto di Wadi Seyidna, serbatoio danneggiato. Il C-130 turco è comunque atterrato senza problemi, ma il ministero degli Esteri ha confermato l’attacco con armi leggere contro il velivolo, ma senza feriti.

LE RSF HANNO subito negato di essere responsabili dell’attacco sostenendo di non aver violato la tregua e accusando l’esercito di essere il vero colpevole. A Khartoum restano ancora alcuni stranieri che non sono riusciti ad abbandonare la città.

La redazione consiglia:
Gli stranieri lasciano Khartoum, dopo la tregua si teme guerra più ampia

Nel frattempo le diplomazie internazionali stanno cercando di trovare una soluzione alla guerra. Uno dei paesi più attivi è il giovane vicino di Khartoum, quel Sud Sudan che ha ottenuto l’indipendenza solo nel 2010 dopo 50 anni di lotta. A Juba si è tenuto il primo incontro tra le forze in campo, fortemente voluto dal Trilateral Mechanism composto da Unione africana, Nazioni unite e Autorità intergovernativa per lo Sviluppo (Igad) e dai paesi membri del Quad (Arabia saudita, Emirati arabi, Gran Bretagna e Stati uniti).

La prima richiesta dei due meccanismi è la creazione di corridoi umanitari e l’accesso senza ostacoli ai civili. E un’immediata ripresa del processo politico, attraverso negoziati, per l’istituzione di un governo di transizione a guida civile.

Questo primo incontro, riporta Sudan Tribune, parzialmente virtuale, è stato presieduto dal presidente dell’Unione africana con la partecipazione del segretario generale dell’Onu, del segretario dell’Igad e quello della Lega araba, dalla presidente della Commissione europea, dai rappresentanti dei paesi confinanti con il Sudan, i membri permanenti delle Consiglio di Sicurezza dell’Onu e da tre paesi del Golfo persico.

UNA FORZA DIPLOMATICA imponente che però al momento non sembra in grado di ottenere grandi risultati: come ha detto la portavoce della Casa bianca Karine Jean-Pierre, la situazione potrebbe peggiorare da un momento all’altro.