«Una delle difficoltà degli Stati moderni è che certi movimenti di liberazione lavorano per il trasferimento del potere ma non per la trasformazione dello stesso». Kgabele Solomon (Solly) Mapaila, primo vicesegretario generale del Partito comunista sudafricano (Sacp), è intervenuto a Roma alla conferenza internazionale su Confederalismo democratico e municipalismo, dove ha sottolineato fra l’altro che «è incontestabile: Nelson Mandela e Abdullah Ocalan hanno lasciato ai loro popoli una lezione di abnegazione, integrità e umiltà».
Il Sacp è al governo dal 1994 come parte della Tripartite Alliance (Alleanza tripartita, detta anche Alleanza rivoluzionaria), insieme all’African National Congress (Anc) e al sindacato Cosatu. Negli anni scorsi, Maipala ha criticato la corruzione dell’Anc e la leadership dell’ex presidente Jacob Zuma.

Perché l’ondata xenofoba in Sudafrica?

La crisi è partita dall’uccisione di un tassista: stava cercando di bloccare la vendita di droga ai ragazzi di una scuola da parte di alcuni spacciatori non sudafricani. Ma all’estero passa un messaggio distorto: c’è chi ha voluto vedere nella situazione la prova che il Sudafrica sta fallendo come democrazia. Del resto anche l’idea che si sia scatenata una violenza xenofoba non è del tutto vera. Ad agire in queste settimane, infatti, sono stati elementi criminali che, nel nome della caccia allo straniero che delinque, hanno approfittato della situazione, attaccando e saccheggiando. Non dimentichiamo che delle dieci persone uccise, otto sono cittadini sudafricani.

Le difficili situazioni economiche acuiscono le tensioni?

Indubbiamente. La crisi economica del Sudafrica si somma a quella di un continente africano che continua a non offrire condizioni di vita decenti. Così continua la migrazione verso il Sudafrica in cerca di migliori opportunità. Ma la disoccupazione nel nostro paese, elevata soprattutto fra i giovani, alimenta forze populiste e demagogiche contro i migranti, molti dei quali sono in situazioni irregolari. Ma il Sudafrica resta ciò che è da tempo. un paese fra i più cosmopoliti. E continua ad accogliere. Nei reparti maternità di alcuni nostri ospedali, le donne provenienti da paesi limitrofi dove le cure prenatali sono più costose, sono la maggioranza. A Musina le partorienti zimbabwane sono l’80%. E nelle aree di confine le nostre scuole – dove si offre il pasto – sono piene di bambini di Lesotho, Swaziland, Botswana.

Nel 1996 il Sudafrica inserì nella Costituzione il diritto a un equo accesso alla terra per tutti. Come mai è stato così difficile attuare la riforma agraria (tanto che i sudafricani bianchi, l’8% della popolazione, posseggono circa il 73% delle terre e dominano il settore agricolo)?

La questione della terra è essenziale in ogni rivoluzione, è uno dei test per determinare se una società vive in modo equo o iniquo. La legge per la restituzione della terra a chi l’aveva persa con l’apartheid era un meccanismo basato sull’adesione volontaria. Per completare il processo sarebbero stati necessari tempi biblici, mentre è grande la fame di suolo, si pensi alle persone che vivono in insediamenti informali. Molti proprietari terrieri, poi, sono così arroganti da impedire l’accesso alle proprie terre perfino a chi vuole solo recarsi ai cimiteri dei propri antenati, senza rivendicare alcunché. La terra è governata da rapporti di proprietà privata, quindi approcciamo il tema da una prospettiva di classe. Su impulso del nostro presidente Cyril Ramaphosa, stiamo finalizzando una riforma che renda effettivo l’esproprio per pubblico interesse anche senza indennizzo qualora i proprietari facciano resistenza. I principi ispiratori sono molto chiari; fra questi c’è la necessità di garantire la sicurezza alimentare nel paese. Una volta approvata dal Parlamento, la norma deve passare al vaglio della Corte costituzionale. E se occorre andremo al referendum.

Nel 2011 il Sudafrica, all’epoca membro di turno del Consiglio di sicurezza dell’Onu, votò sì alla risoluzione 1973; così la Nato si accaparrò il mandato per bombardare la Libia.

Secondo il Sudafrica, la risoluzione 1973 doveva essere un’opportunità di risolvere la crisi libica affidando all’Unione africana il ruolo di negoziare. Non andò così. Nei mesi dei bombardamenti aerei, nessun membro permanente del Consiglio di sicurezza fece ricorso al proprio diritto di veto per fermare la Nato. A un certo punto il presidente Jacob Zuma offrì asilo in Sudafrica a Muammar Gheddafi, ma egli rifiutò, volendo morire nel proprio paese. Quella guerra ha distrutto la Libia e non solo.