Ci sono tre dighe in Sicilia che danno il senso del disastro su cui nessun governo di centrodestra o di centrosinistra ha messo le mani, a parte progetti e roba rimasta solo sulla carta. Si chiamano Cimia, Comunelli e Disueri, si trovano tra le province di Agrigento e Caltanissetta, quelle più assetate dalla siccità che sta flagellando l’Isola. I tre invasi avrebbero la capacità di inglobare 41 milioni di metri cubi d’acqua. Avrebbero, però. Perché in realtà non l’hanno mai avuta.

Collaudi incompleti, manutenzioni mai fatte e lavori lasciati in asso hanno ridotto questa capacità ad appena il 20%. Insomma poco più di 8 milioni di metri cubi. Attorno alle tre dighe ci sono centinaia di aziende agricole e industriali che si sono sempre arrangiate perché l’acqua quando c’era finiva addirittura in mare, come per l’invaso di Comunelli che ha lo scarico di fondo interrato. In questa diga al momento non c’è più acqua, nella Cimia rimangono 800 mila metri cubi, nella Disueri appena 100 mila. In altri tre invasi la situazione non è migliore.

Il Fanaco, nella provincia di Palermo, è quasi a secco: appena 360 mila metri cubi d’acqua, a fronte di una capacità di oltre 20 milioni di metri cubi. Nella diga Furore, nell’agrigentino, ci sono in questi momento 940 mila metri cubi rispetto ai 7 milioni che ne potrebbe contenere. Dei tre milioni e mezzo di metri cubi a Gorgo Lago, anche questo in territorio della Valle dei Templi, ne rimangano 790 mila, mentre l’invaso Leone, realizzato ai tempi del fascismo sempre nell’agrigentino, c’è un residuo di 800 mila metri cubi, ne conteneva più di 4 milioni. Nel complesso le 29 dighe presenti in Sicilia contengono in questa fase il 50% della loro capacità e a luglio c’è stata una ulteriore riduzione dell’8% rispetto al mese precedente: con questo ritmo se non dovesse piovere nel giro di sei mesi tutti gli invasi sarebbero a secco.

C’è poi il capitolo dissalatori. Ce ne sono tre: Porto Empedocle, nel territorio di Agrigento; Gela, nella provincia di Caltanissetta; Paceco, nel trapanese. Nessuno dei tre funziona da anni. Anche qui, anni di incuria e disinteresse totale. Per sistemare dighe e dissalatori ci vorranno anni, il governo Schifani si è mosso appostando 90 milioni di euro nel Fsc firmato col governo Meloni. Ma l’emergenza ha tempi differenti. Ecco perché si sta cercando di rimediare per ridurre i disagi (in alcune zone di Caltanissetta l’acqua manca da 40 giorni) degli agricoltori e degli allevatori. Sono arrivati i primi rifornimenti d’acqua con le navi della marina militare e la Regione ha deciso di fare ricorso ai pozzi, molti abbandonati da anni.

Per trivellare nuovi pozzi o recuperare quelli in disuso, il governo ha pianificato di utilizzare 17 dei 20 milioni ricevuti dalla Protezione civile nazionale. Ribera, Sciacca, Mazzarino, Caltagirone, Aidone, Trabia, Prizzi, Castronovo di Sicilia sono solo alcuni dei comuni dove si sta lavorando per recuperare acqua dal sottosuolo. Gli interventi programmati sono oltre un centinaio. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha individuato un giacimento d’acqua sui Monti Iblei, acque dolci e salmastre conservate in un acquifero profondo tra i 700 e i 2.500 metri. Il volume d’acqua stimato è pari a 17 miliardi di metri cubi.

Per la gravità della situazione, la conferenza Stato-Regioni ha dato il via libera al riconoscimento per la Sicilia delle «condizioni di forza maggiore e circostanze eccezionali», provvedimento che era stato chiesto dal governo Schifani lo scorso 17 giugno per consentire alle imprese agricole e zootecniche di avere delle deroghe in alcuni ambiti della politica agricola comune. La Coldiretti: «Nelle campagne non c’è più una goccia d’acqua».