Nel tardo pomeriggio di martedì, un incendio ha bruciato circa 6mila tonnellate di rifiuti depositate in un’area militare vicino a un’oasi protetta, gestita dal Wwf, a Persano, in provincia di Salerno. Ancora ieri, i vigili del fuoco non erano riusciti a spegnerlo e la nube tossica che si è sprigionata ha costretto i sindaci della zona a emanare delle ordinanze urgenti per chiedere ai cittadini di tenere porte e finestre chiuse e di non consumare frutta e verdura locali. A bruciare sono stati i rifiuti inviati in Tunisia tra la fine di maggio e la prima metà di luglio del 2020, che la Campania era stata costretta a riprendersi dopo che la vicenda aveva provocato un’inchiesta giudiziaria e numerose proteste nel paese nordafricano.

SI TRATTAVA DI SCARTI della raccolta differenziata domestica, cioè di rifiuti indifferenziati finiti nei contenitori o nei sacchetti sbagliati, di sedici comuni del Cilento e del Vallo di Diano. Erano stati dissequestrati a dicembre e oggi sarebbe dovuta cominciare la rimozione, che doveva durare un paio di mesi. Proprio per questa coincidenza gli inquirenti ipotizzano che il rogo non sia casuale. Il vicepresidente della Regione Fulvio Bonavitacola, del Partito Democratico, dice che «c’è un sincronismo che dimostra un chiaro contenuto doloso» e che «la vicenda dei rifiuti tunisini si conferma ancora una volta oscura e segnata da azioni di stampo criminale».

LE SCORIE POTREBBERO ESSERE state bruciate per evitare che, rimuovendole, emergesse un contenuto diverso da quello dichiarato: già i funzionari della dogana tunisina, che avevano aperto alcuni container, avevano parlato di scarti ospedalieri e materie plastiche. Negli ultimi anni, diverse inchieste nel salernitano hanno svelato gli interessi del clan dei Casalesi e della ‘ndrangheta nello smaltimento illecito di rifiuti industriali. Un’altra possibile causa del rogo potrebbe essere legata alle spese di smaltimento: la Regione Campania le ha anticipate, ma ha fatto sapere che chiederà il conto alle aziende protagoniste del traffico tra Italia e Tunisia.

LE SPEDIZIONI RISALGONO alla primavera del 2020. I primi 70 container furono preparati nell’impianto della Sviluppo risorse ambientali (Sra), nella zona industriale di Polla, nel salernitano. Furono trasportati con dei tir al porto di Salerno e il 22 maggio del 2020 furono caricati su una nave turca, la Martine A della Arkas Container Transport. Furono scaricati qualche giorno dopo a Sousse e trasferiti in un capannone a Moureddine, a una decina di chilometri di distanza. Il deposito era di proprietà della Soreplast, una società tunisina che avrebbe dovuto riciclarli e trasformarli in prodotti finiti da rimandare in Italia. Nei mesi successivi furono spediti altri 212 container, per un totale di 7.900 tonnellate di spazzatura. I funzionari doganali si insospettirono e li sequestrarono. Davanti ai cancelli d’ingresso del porto ci furono molte proteste contro i rifiuti italiani, poiché la convenzione di Bamako del 1991 vieta l’importazione in Africa di scarti pericolosi, mentre quella di Basilea del 1989 per la regolamentazione dei movimenti transfrontalieri di rifiuti e il regolamento europeo 1013 del 2006 ne autorizzano l’esportazione verso un paese terzo solo se è in grado di riceverli e ha una fabbrica che possa procedere al loro riciclaggio.

A DICEMBRE DEL 2020, i magistrati di Sousse arrestarono dodici persone, tra le quali l’allora ministro dell’Ambiente tunisino Mustapha Laroui, il suo capo di gabinetto, alcuni dirigenti dell’autorità doganale, dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti. L’amministratore unico della Soreplast, Mohamed Moncef Noureddine, a sua volta ricercato, si rese irreperibile, probabilmente scappando in Germania.

I RIFIUTI RIMASERO BLOCCATI per un anno e mezzo nel porto tunisino, finché la Regione Campania non accettò di riprenderseli. Il rientro fu affidato alla Ecoambiente Salerno, una società a totale partecipazione pubblica che gestisce undici discariche e siti di stoccaggio in tutta la provincia, poiché la Sra non voleva pagare le spese. Una volta sbarcati a Salerno, furono caricati su dei tir e trasportati a Persano, tra le proteste degli ambientalisti e degli abitanti del posto, che non volevano i rifiuti in un’area protetta dal punto di vista ambientale. La Regione disse che vi sarebbero rimasti al massimo per sei mesi. La procura della Repubblica di Potenza però li sequestrò e da allora non sono stati più toccati.

ALLA FINE DI FEBBRAIO sono state indagate sedici persone, tra i quali i titolari della Sra e della Soreplast, alcuni intermediari e due funzionari della Regione Campania, per traffico illecito di rifiuti, fittizia intermediazione di beni, gestione illecita di rifiuti, realizzazione di discarica abusiva e frode nelle pubbliche forniture. Secondo gli inquirenti, la Sra mandando i rifiuti in Tunisia riduceva i costi di smaltimento da 180 a 90 euro a tonnellata, mentre la Soreplast avrebbe bruciato o interrato le scorie invece di riciclarle.

DOPO L’INCENDIO DI MARTEDÌ, delle 7.900 tonnellate di spazzatura inviate in Tunisia non rimane più nulla, visto che nel frattempo anche il capannone di Moureddine, dov’erano depositati gli altri 70 container, è andato misteriosamente a fuoco.