L’orrore, prima o poi, deve avere una fine. La guerra in Ucraina ha fatto centinaia di migliaia di morti e reso l’Europa più povera, insicura e instabile. Dopo due anni ci troviamo in un paradigma ormai cambiato rispetto a quando l’obiettivo dell’Occidente era aiutare l’Ucraina a vincere. Ora il discorso è incentrato su come aiutare l’Ucraina a mettersi in sicurezza e a conservare i quattro quinti del suo territorio non occupati da Vladimir Putin con l’invasione del 24 febbraio 2022. Secondo un sondaggio dell’Ecfr (European Council on Foreign Relations) soltanto il 10% dell’opinione pubblica europea crede che l’Ucraina sia in grado di vincere, a meno di un allargamento del conflitto alla Nato che potrebbe provocare anche una guerra nucleare.

E purtroppo il ritorno del Dottor Stranamore, evocato da Tommaso Di Francesco sul manifesto del 16 febbraio, non è soltanto un incubo ma fa già parte del dibattito sul riarmo in atto dell’Europa soprattutto dopo le sparate di Trump: «Dirò a Putin di attaccare i paesi europei che non spendono per la loro difesa». Così ha affermato quello che nei sondaggi è ancora il favorito alle presidenziali americane di novembre.

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Forse è il caso di darsi da fare per trovare un’alternativa alla guerra ucraina (e magari pure a quella a Gaza), quel Piano B che il presidente del consiglio europeo Charles Michel rifiuta con ostinazione: «Esiste solo un piano A: il sostegno all’Ucraina». Già ma il «sostegno» all’Ucraina è sempre meno convinto in un’Europa in recessione economica mentre gli Stati uniti tengono ancora stretti i cordoni della borsa degli aiuti militari a Kiev.

Charles Michel e una pattuglia di leader europei sembra che non si siano accorti che ormai siamo oltre la “war fatigue”, la stanchezza della guerra: la situazione sul campo sembra pendere dal lato dei russi. E la guerra non si combatte soltanto sui campi di battaglia ma anche nelle urne delle elezioni come hanno dimostrato anche i casi del passato, dalla guerra francese in Algeria a quella americana nel Vietnam. Ma da noi _ occorre rilevarlo _ abbiamo un’opposizione così esangue che fa fatica a contemplare un’alternativa agli orrori contemporanei, dall’Ucraina a Gaza.

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Sono (e saranno) i fatti a fare cambiare idea a Michel e agli leader europei. Il piano B non vuole dire arrendersi all’autocrazia di Putin e al suo accanito e pervasivo sistema repressivo, come si è visto con Navalny, ma prendere atto che Zelenski questa guerra non la può vincere, almeno in termini assoluti. Anzi. Il fatto che sia ancora al potere a Kiev è già una vittoria visto che Putin intendeva mettere al suo posto un governo “amico”. Ci sono state pesanti perdite territoriali ma la Crimea era già stata persa nel 2014 e il Donbass è da tempo il terreno di una sanguinosa guerra civile.

Lo stesso Putin è un “vincitore dimezzato”: voleva mettere in crisi la Nato e l’accerchiamento atlantico con l’ingresso di Finlandia e Svezia è diventato più soffocante. Guerra e sanzioni lo hanno costretto a buttarsi nelle braccia della Cina e a ricorrere all’aiuto militare di Iran e Corea del Nord, Paesi che prima dipendevano da lui e da Pechino. Putin, che si prepara a rivincere le elezioni, è sotto pressione. Ha dovuto affrontare la rivolta di Prighozhin (eliminato), l’economia regge ma nel medio termine per stessa ammissione del Cremlino potrebbe subire contraccolpi. E in più si potrebbe manifestare l’opposizione interna, più che su basi ideologiche e politiche alimentata dalle rivendicazioni etniche e regionali come è avvenuto con le manifestazioni in gennaio del Baskortostan (Baschiria): le contraddizioni e i problemi strutturali della Federazione russa vengono accentuati da una guerra che ha reclutato nelle provincie più povere e remote.

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Dal campo di battaglia e dalla diplomazia provengono già segnali che all’orizzonte si profila un Piano B. Mentre la controffensiva ucraina è fallita (dopo mesi di incredibile propaganda sui media occidentali) e Zelenski ha ammesso il disastro facendolo pagare con una purga ai vertici militari, sul presidente ucraino si stanno moltiplicando le pressioni degli alleati per assumere un posizione più adatta alle circostanze, ovvero difensiva, che vanno dalla concentrazione militare nelle roccaforti più solide (Kramatorsk) alle prove di un’eventuale evacuazione di Karkhiv (di cui qui ovviamente non parla nessuno).

Certo l’Occidente non vuole dare l’impressione di darla vinta Putin ma che si cerchi di preparare il terreno a un accomodamento diventa sempre più visibile. Lo stesso discorso sull’ingresso dell’Ucraina nella Nato sembra rallentare vistosamente anche con gli accordi di difesa bilaterali che Kiev sta firmando o negoziando con i partner dell’Alleanza atlantica (dalla Gran Bretagna alla Germania all’Italia). L’estate con il vertice a luglio della Nato a Washington porterà ulteriori consigli.

Del resto l’ex Capo di stato maggiore Usa Mark Milley in questi due anni è stato chiaro più di un volta: “Questa guerra non la vincerà davvero nessuno dei due e finirà al tavolo di un negoziato”. Il Piano B c’era già.