Nella sinistra peruviana c’è il grande timore che il presidente Castillo segua le orme di Ollanta Humala – è stato coniato al riguardo persino un verbo, “humalizarse” -, cioè che, proprio come quell’ex presidente (2011-2016), finisca per tradire gli impegni di cambiamento assunti con l’elettorato.
Un timore che una parte dei suoi sostenitori vede confermato nella rinuncia – sollecitata da Castillo – del premier Guido Bellido e del ministro del lavoro Iber Maraví, quest’ultimo in realtà con il destino già segnato, essendo pronta per lui la «censura», per i suoi presunti vincoli con Sendero Luminoso, da parte del Congresso.

STRETTO NELLA MORSA della sistematica offensiva dell’opposizione da un lato e delle pressioni del suo stesso partito, Perú libre, dall’altro, Castillo ha operato una scelta che, dopo le controverse dimissioni del ministro degli Esteri Héctor Béjar e la sua sostituzione con l’assai più conservatore Oscar Maúrtua, appare come un nuovo cedimento alla destra.
Avendo la rinuncia del premier portato con sé quella di tutti i ministri, Castillo ha annunciato mercoledì sera il nuovo governo, affidando la presidenza del Consiglio dei ministri all’avvocata ambientalista del Frente Amplio Mirtha Vásquez, già presidente del Congresso sotto la presidenza ad interim di Francisco Sagasti e nota per aver difeso Máxima Acuña, premio Goldman per l’ambiente nel 2016, nella sua battaglia contro la compagnia mineraria Yanacocha.

Una figura senz’altro meno divisiva di quella di Bellido, la cui nomina aveva sollevato subito un vespaio di polemiche: non solo per la sua stretta vicinanza al segretario generale di Perú libre Vladimir Cerrón, il nemico numero uno delle destre, ma anche per certe sue dichiarazioni misogine e omofobe.
Che, dopo Béjar e Maraví, la destra mirasse a liberarsi di Bellido, non era del resto un mistero, tanto più dopo la minaccia di nazionalizzazione da lui rivolta al consorzio Camisea, il più grande produttore di carburante in Perù, nel caso in cui si fosse opposto a rinegoziare il suo contratto con lo Stato, benché la sua minaccia fosse poi stata ridimensionata da Castillo, in uno dei tanti esempi di mancanza di unità all’interno della compagine governativa.

IN QUESTO QUADRO, Castillo aveva dinanzi a sé due strade: andare allo scontro con il Congresso o tentare la strada di un governo meno conflittuale. E ha imboccato la seconda, confermando ministri più graditi alla destra come Maúrtua (la cui posizione anti-Maduro ha creato maretta a sinistra) o come il ministro dell’Economia Pedro Francke, nominandone altri dal profilo più moderato e puntando su una figura rispettata come quella di Mirtha Vásquez, certamente più funzionale all’obiettivo del presidente di «promuovere il dialogo, la governabilità e il lavoro di squadra», al fine di «lottare per i più vulnerabili».
Che possa riuscirci, però, è tutto da vedere, di fronte a una destra impegnata ad alzare l’asticella delle sue pretese dopo ogni punto messo a segno contro il governo.