Poteva essere, per la Corte Suprema, l’occasione per iniziare a smarcarsi, seppure tardivamente, dalla più grande farsa giudiziaria della storia del Brasile. Ma non è stato così. Per tre voti a due, i giudici della seconda sezione del Supremo tribunale federale hanno deciso che Lula resterà in carcere finché non sarà concluso l’esame della richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa dell’ex presidente sulla base dell’accusa di parzialità nei confronti dell’ex giudice Sérgio Moro.

Su tale richiesta i cinque giudici avrebbero dovuto pronunciarsi – dopo un tentativo di rinvio, poi smentito, da parte della presidente Cármen Lúcia – proprio nella sessione di martedì, l’ultima prima della pausa invernale che si prolungherà per tutto luglio.

La discussione del ricorso era in realtà già iniziata il 4 dicembre 2018 e interrotta lo stesso giorno su richiesta di Gilmar Mendes quando il risultato era di due voti a zero contro Lula (quelli di Edson Fachin e Cármen Lúcia). Un risultato rimesso però fortemente in discussione dallo tsunami politico provocato dalle rivelazioni di Intercept sul ruolo di coordinatore dell’accusa svolto di fatto dall’ex giudice contro le più elementari regole della giustizia.

Ma è stato di nuovo Gilmar Mendes a chiedere di posticipare la decisione sulla ricusazione di Moro in attesa di una conferma ufficiale dell’autenticità dei contenuti pubblicati da Glenn Greenwald e dal suo team. E ciò sulla base del parere della Procura generale della Repubblica secondo cui, «di fronte al fondato dubbio giuridico» sui materiali divulgati, questi non avrebbero dovuto costituire un argomento per l’annullamento del processo dell’ex presidente.

Come se, in realtà, non ci fossero abbastanza prove della parzialità di Moro già prima dello scandalo sollevato da Intercept, secondo quanto evidenziato puntualmente dai legali di Lula, che, non a caso, non si sono neppure riferiti alle divulgazioni del portale investigativo (facendo invece leva, tra l’altro, sulle intercettazioni delle conversazioni della difesa autorizzate illegalmente da Moro nel 2016).

Favorevole tuttavia alla scarcerazione dell’ex presidente, Gilmar Mendes ha chiesto che gli venisse concesso di attendere in libertà la conclusione dell’esame del ricorso presentato dai suoi legali. Ma contro la sua proposta, appoggiata dal solo Ricardo Lewandowski, hanno votato contro sia Fachin e Lúcia che il presunto ago della bilancia Celso de Mello (quest’ultimo però non senza esprimere dubbi sulla condotta di Moro). Con grande soddisfazione del generale di riserva Paulo Chagas, che aveva minacciosamente auspicato che il Stf mostrasse «perlomeno il buonsenso di lasciare Lula in prigione, là dove è bene che stia».

L’ex presidente resta dunque un prigioniero politico, condannato per «atti indeterminati» nel caso di un appartamento che non è mai stato suo. Un colpo durissimo per lui, se è vero che, come ha riferito l’editorialista della Folha de S. Paulo Mônica Bergamo, stavolta ci aveva creduto sul serio di poter recuperare la libertà.

Ma la vicenda non finirà così. Mentre la seconda sezione del Stf capitolava per l’ennesima volta dinanzi alle forze anti-democratiche, Greenwald, invitato a riferire alla Camera dei deputati sulle rivelazioni di Intercept, faceva chiaramente capire come per il ministro Moro non ci sia scampo.

Sfidato dalla deputata Carla Zambelli a presentare le prove dell’autenticità dei materiali pubblicando gli audio in suo possesso, il giornalista ha annunciato di aver iniziato con il suo team a lavorare su questo già da due settimane: è qualcosa che richiede più tempo, ha detto, «ma lo faremo e credo che si pentirà di averlo chiesto».

Prosegue, intanto, la pubblicazione dei «messaggi segreti», frutto anche di collaborazioni con altri giornalisti e mezzi di informazione, perché – ha spiegato il co-fondatore di Intercept – «noi consideriamo l’archivio fornito dalla nostra fonte un bene pubblico cruciale, che appartiene al popolo brasiliano, non solo a noi».

A essere coinvolti sono stati per primi il giornalista Reinando Azevedo (autore di un blog sul portale Uol e del programma O É da Coisa della BandNews FM) e soprattutto la Folha de São Paulo che ha rivelato il 23 giugno nuovi contenuti relativi all’appoggio incondizionato del procuratore Deltan Dallagnol all’ex giudice, in una rete di complicità che abbracciava anche la Procura generale della Repubblica, il Consiglio nazionale di Giustizia e la polizia federale.