Renzi ha vinto la sua battaglia, si è preso il partito e non lo molla, si vedrà se è una vittoria di Pirro e se a sinistra si affermerà una forza con un suo significativo peso nella politica italiana.

Divertenti le analisi dei commentatori che per tenere insieme, con gran tifo mediatico, un partito profondamente diviso, dicono che la scissione sarebbe un regalo a Berlusconi o in alternativa a Grillo. A nessuno – sui grandi giornali – viene in mente che invece questa scissione (sostanziale e strisciante più che decisa e operativa) potrebbe favorire la nascita di una forza di sinistra (di una sinistra plurale) oscillante tra il 10 e il 15 per cento, in sintonia con un panorama politico europeo in cui si affermano vecchie e nuove sinistre. Persino il socialdemocratico Schulz vola nei sondaggi e va allo scontro con la corazzata Merkel.

Si capiscono le arrampicate e gli sforzi di chi dice che una rottura del Pd adesso farebbe soltanto male al paese, oltre che a se stesso. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere come in quel matrimonio veltroniano che oggi arriva al divorzio, la sinistra abbia perso progressivamente colore, come il Lingotto si sia incarnato in Marchionne, e come Renzi con il Jobs act abbia segnato, sul fronte del lavoro e dell’uguaglianza, una rottura culturale, politica e sociale.

È vero che la storia a sinistra è lastricata di lacerazioni profonde (e il manifesto ne è ancora la testimonianza concreta, in quel caso segnata da una violenta radiazione).

È vero che la divisione ha sempre prevalso sull’unità. L’unità pretenderebbe di avere la capacità di ritrovarsi sulle cose di fondo che uniscono e queste ragioni non le interpreta Renzi, personalità divisiva e autocentrata. Quando Mario Tronti afferma che le cause dei deboli hanno bisogno di essere difese da una grande forza, bisognerebbe aggiungere che oggi le cause dei deboli non le difende la leadership del Pd.

Per interpretare le ragioni che uniscono è importante capire che il disegno renziano ha fatto presa anche su un elettorato stanco di un gruppo dirigente incapace di rinnovarsi, responsabile di avergli offerto su un piatto la possibilità di prendersi il partito. Se non ci fosse stato il referendum costituzionale questo modo di governare il partito e il paese avrebbe retto. Giocando sul referendum tutta la sua credibilità Renzi ne è uscito sconfitto. Quella partita contro tutto e tutti riassume il suo modo d’essere e quindi i limiti del giovane leader. Immaturità, mancanza di lungimiranza, anche difetto di comunicazione. Il No della sinistra che oggi intende andarsene è stato la premessa del lungo addio. Altrettanto chiaramente, la rappresentazione dello scontro in atto rivela come l’unità del Pd che oggi dichiara fallimento sia stata frutto di un compromesso tutto giocato a livello politico, non sociale: il progressivo calo degli iscritti è la dimostrazione della perdita di radicamento e altre elezioni amministrative piuttosto complicate si avvicinano in un partito commissariato in molte regioni e città.

La scissione l’ha fatta la crisi sociale gonfiando le vele e le urne di un movimento arrivato al 25 per cento al primo appuntamento elettorale tre anni fa. Lo streaming di Bersani se lo ricordano tutti. I 5Stelle non sono una spina nel fianco ma una forza politica in grado di battere il Pd di Renzi, un prodotto della crisi italiana, votato da chi non ha bisogno di tessere.

Non ci stracciamo le vesti per una scissione, ma dovrebbe essere altrettanto chiaro che tornare al passato è una cattiva illusione. La nuova forza della sinistra si misura sulla capacità di mobilitare il conflitto sociale in un’area vasta, in mondi diversi, poveri di cultura politica. Si è costituito, con fatica e con una perdita di dirigenti e amministratori, un partito come Sinistra italiana con l’adesione di giovani che invece una cultura politica continuano a coltivarla. La stessa da cui proviene Giuliano Pisapia, sponsor dell’unificazione di un’area costellata da associazioni, costituenti gruppi parlamentari, con la partecipazione della presidente della Camera Laura Boldrini.

C’è più vita a sinistra certamente, ma non perché Michele Emiliano canta bandiera rossa insieme a Speranza e Rossi. Se dovessimo affidarci ai D’Alema o ai Bersani, se fossero questi gli uomini (solo uomini) a interpretare l’alternativa, sarebbe un disastro annunciato (abbondano gli esempi del passato). Ma chi non crede più in loro può invece ritrovarsi in una sinistra larga, coraggiosa e generosa capace di costruire una rinascita di aggregazioni dal basso, di richiamare alla lotta sociale, contro i disastri del modello neoliberale. Finora solo in Italia non si è prodotta una forza popolare di nuova sinistra. Non resta molto tempo per provarci.