La massa critica internazionale dell’arte è nuovamente in subbuglio. Questa è, forse, una tra le poche buone notizie che provengono dal mondo della cultura: la capacità di innesco e di reazione. Questa volta, dopo Kassel e Namibia, ci si mobilita in difesa di Manuel Borja-Villel apprezzatissimo – da alcuni – direttore del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid dal 2008 (rinominato nel 2013-1028).

In pochi giorni, una lettera che circola online – e di cui si sono poi moltiplicate le versioni proprio a prova della molteplicità delle voci – ha raccolto oltre mille firme in appoggio a Borja-Villel, denunciando l’inconsistenza delle accuse riguardanti la gestione personalistica, la politicizzazione del museo, e le calunnie di mala amministrazione apparse sui media spagnoli di destra. Il quotidiano Abc ha addirittura messo in dubbio la legalità dei due rinnovi del mandato come direttore, informazione che è stata smentita sia dal Reina Sofía che dal ministero della Cultura. La lettera (tutt’ora sottoscrivibile) afferma: «Il successo e la notorietà del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia negli ultimi anni lo hanno posto al centro di una ‘guerra culturale’ scatenata dall’ascesa dell’estrema destra nella politica e nel panorama mediatico spagnolo (…) L’estrema violenza degli attacchi perpetrati contro Manuel Borja-Villel e coloro che lo circondano sono la prova che c’è qualcosa di più in gioco del suo mandato. Fanno parte di una campagna diffamatoria diretta al modello che il Museo rappresenta». Ma cosa c’è di tanto pericoloso nel museo che ‘il Reina Sofiarappresenta?

Il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía Mncars si è posizionato come una delle istituzioni museali più rilevanti e influenti a livello internazionale degli ultimi dieci anni. Il suo successo è in gran parte dovuto al modello trasformativo guidato dal suo direttore, Manuel Borja-Villel (attualmente parte del collettivo curatoriale della prossima Biennale di são Paulo). Tale trasformazione non solo ha permesso il consolidamento della dimensione sociale del museo, diventando un vero e proprio forum multidisciplinare di sperimentazione a livello locale, internazionale e transnazionale, ma ha anche generato una nuova narrazione della storia dell’arte che mette in discussione le egemonie consolidate aprendosi alla riformulazione del rapporto con un pubblico partecipe e molteplice. Tra le iniziative a livello locale il Museu Situado, una rete collaborativa di associazioni attive nel quartiere di Lavapiés, risponde alla volontà di collegarlo al territorio in cui si trova, alla sua rete di conflitti e aspettative. È a loro che Manolo, come affettuosamente è chiamato Borja-Villel, si rivolge nell’ultima assemblea di saluti, affermando che «sono la cosa veramente importante del Reina Sofía, anche al di sopra di un emblema come la Guernica» che il museo ospita. La rete ha cominciato ad organizzarsi intorno al museo nel 2018 in seguito alla morte di Mame Mbaye Ndiayeun, venditore ambulante senegalese durante un fermo di polizia. L’accaduto aveva provocato una forte reazione del quartiere, a cui il Museo non si è esonerato dal partecipare. Da allora, il Reina Sofía ha conquistato la fiducia degli abitanti. Tra le significative iniziative politiche, c’è la possibilità data a persone senza documenti di avere una tessera utente della biblioteca del centro, permettendogli non solo l’utilizzo dello spazio ma anche il possesso di un documento pubblico che comprova che si trovavano a Madrid, utile per l’elaborazione della residenza. Successivamente, il giardino del museo è stato recuperato per il quartiere, che «ha imparato a usare e sentire come proprio»; poi, è stata istituita l’assemblea mensile del Museo Situato, che delibera anche sulle risorse che l’istituzione può dedicare a questo programma e crea un bilancio partecipativo. Il museo è così divenuto un luogo abitato dalla collettività locale, non solo visitato dai passanti. È stata proprio questa rete di ‘saperi situati’ la prima a voler esprimere la propria solidarietà a Borja.

A livello rizomatico, il Museo en RED, coinvolge stabilmente diverse realtà internazionali, tra queste: L’Internationale, una confederazione di sette istituti di arte moderna e contemporanea in Europa; la Fundación de los Comunes una realtà locale; l’Institute of Radical Imagination, una rete mediterranea, fondata nel 2017 da artisti, attivisti, accademici e produttori culturali; La Laboratoria, un dispositivo transnazionale che sostiene la ricerca attivista femminista come pratica situata a partire da cinque città —Buenos Aires, Quito, New York, Città del Messico, e Madrid. Per ultima, La Red de Conceptualismos del Sur, una piattaforma internazionale di ricercatori che dal 2007 denunciano la necessità di intervenire politicamente nei processi di neutralizzazione di pratiche critiche concettuali sviluppatesi in America Latina a partire dagli anni Sessanta.

Un altro aspetto fondamentale del museo è stato il rafforzamento della Biblioteca e del Centro di documentazione, nonché l’incentivo alle pubblicazioni, strumenti chiave per i ricercatori. Durante questo periodo, la collezione permanente è stata riorganizzata attraverso una narrazione del patrimonio che promuove la riflessione storiografica e favorisce discussioni su giustizia, correzione, restituzione e comprensione, temi particolarmente sensibili in una epoca non solo di grave crisi istituzionale ma di demistificazione della supremazia occidentale, di cui il museo, in quanto istituzione di potere, si torna agenzia delle peggiori intenzioni e simbolismi. Particolarmente significativo diviene quindi la circolazione dell’ hashtag #ElMuseoQueQueremos.

Il museo Reina Sofia

In conclusione, la lettera manifesta una giustificata preoccupazione sulle future sorti del museo («Questi stantii richiami all’’ordine’ hanno decimato il dibattito pubblico su questioni importanti relative al modello museale che ci auguriamo di realizzare al termine di un determinato periodo e alle modalità con cui affrontare il presente e il futuro dell’istituzione. Il messaggio ci sprona a interrogarci insieme su quali siano le sorti dell’annichilimento cerebrale a cui continuiamo ad essere sottoposti»). In questo senso, la lettera del collettivo Iri scrive che la vicenda va letta «non in modo isolato. In Spagna, come in Italia, in Austria, in Slovenia, in Polonia, in Ungheria, e in tanti altri territori europei, c’è in atto un risveglio dell’apparato politico di destra che mira a costruire campagne per delegittimare la cultura dichiaratamente antifascista, antiautoritaria e in difesa dei diritti sociali e civili. La destra si è accorta dell’importanza di costruire egemonia culturale e sta lottando per distruggere, pezzo dopo pezzo, l’ecosistema culturale europeo, per potervi sostituire apparati nazionalisti, conservatori e asserviti a un’idea di cultura mercificata». Non si tratta, quindi, solo di difendere un museo – il che sarebbe quasi inverosimile venendo da movimenti che significativamente lottano per una radicale revisione dei paradigmi colonialisti intrinsechi nei baluardi di razza, genere e natura – ma della possibilità di mantenere in vita un pensiero critico capace di organizzarsi in rete.