Mentre il curatore e gli artisti del Padiglione russo, in segno di ripudio alla guerra in Ucraina, hanno annullato la loro partecipazione alla 59/a Biennale di Venezia, un gruppo di artisti namibiani vorrebbe che il proprio governo ritirasse l’appoggio al padiglione della Namibia, per la prima volta parte della mostra, e che al suo curatore – l’italiano Marco Furio Ferrario – venisse negata la possibilità di partecipare in qualità di rappresentanza nazionale. Gli artisti denunciano «un debutto poco concettualizzato e inappropriato, con una visione antiquata e problematica della Namibia e dell’arte namibiana». A tal fine, hanno redatto una petizione Not Our Namibian Pavilion che da alcuni giorni circola in rete.

IL LAND PROJECT The Lone Stone Men of the Desert consiste in una serie di sculture rappresentanti forme umane di pietra e ferro apparse alcuni anni fa nel deserto del Kunene in Namibia. L’artista, anonimo, viene riconosciuto sotto lo pseudonimo RENN («Art Before Artist is the purpose», si legge sul sito della Biennale). Molti sono i dibattiti nel mondo dell’arte su anonimato e autorialità – ma come fa notare il documento «RENN è noto pubblicamente in Namibia come elemento dell’industria del turismo senza connessione con l’arte contemporanea e la scena culturale del paese».

Nel gennaio del 2022, quando si era fatto notare che «affidare la rappresentazione della Namibia a un solo artista maschio e bianco sarebbe stata una scelta inadeguata», pare ci sia stata la ricerca per un secondary artist of colour di cui però non si trova menzione sul sito della Biennale. «Un gruppo di persone italiane senza rilevanti esperienze curatoriali – per non parlare di un coinvolgimento significativo con l’arte della Namibia – ha intrapreso il compito di ’rappresentarla’ a Venezia… persone non consapevoli delle sensibilità legate ai temi decoloniali e intersezionali, specialmente in un’era post-apartheid particolarmente complessa, in cui gli sforzi per correggere le ingiustizie del passato sono fondamentali quando si affronta un progetto di questa natura», afferma la petizione.

IL CURATORE Marco Furio Ferrario è uno strategic consultant, con un focus specifico rivolto al Business Growth. Più che una esperienza nel settore dell’arte sfoggia una attitudine al management e innovazione aziendale nel settore turistico in Namibia, particolarmente in quello delle riserve naturali presso l’Okahirongo Lodge, uno degli sponsor del padiglione.

Le attività offerte nel lodge spaziano dalle mirabolanti avventure nel deserto alla «immersione nel cuore del Kaokoland e della straordinaria cultura Himba». Come scritto nel testo curatoriale: «L’ambientazione scelta (il deserto) è tale che solo due tipi di osservatori possono incontrare le opere d’arte: le tribù Himba (che sono una delle poche tribù che vivono ancora in uno stato pretecnologico) e i pochi fortunati e coraggiosi viaggiatori che si avventurano alla scoperta del deserto (che appartengono per lo più a gruppi sociali opposti agli Himba, con stili di vita altamente tecnologici e urbanizzati)».

Secondo la petizione, il progetto «è altamente problematico in quanto immerso nella premessa storicamente razzista in cui i popoli indigeni sono percepiti come più vicini alla natura che agli umani. Questo è stato usato per giustificare l’oppressione delle popolazioni indigene etichettandole come ingenue e subumane». Il testo esplicita: l’assenza di qualsiasi considerazione dei contemporanei dibattiti sui regimi di potere inerenti produzione della conoscenza e l’arte, e le forme con cui l’occidente continua a guardare il mondo e «l’altro»; il mantenimento della dicotomia prevenuta e coloniale dell’incivile versus civilizzato; nonché l’utilizzo dell’arte per strategie economiche.

Ai «viaggiatori coraggiosi» è dato di andare ad esplorare i selvaggi abitanti del deserto, così come a curatori e sponsor è dato di manipolare la cultura degli altri per fare propaganda ai propri – e di élites locali – affari. Come ricorda ancora la petizione, «questa è la stessa base ideologica che ha sostenuto l’espansione coloniale, l’occupazione di territori come la Namibia e lo sfruttamento della sua gente e delle risorse naturali». Senza voler difendere nativismi, discutibile è anche la prioritaria e disconnessa presenza italiana in un Padiglione nazionale africano. Al curatore si aggiunge la patrona Monica Cembrola della Monica Cembrola For Art Foundation di cui pochissime informazioni sono reperibili in internet se non che «ama l’arte africana».