La visita in Libano di Macron comincia da Fairouz. Atterrato a Beirut lunedì sera, il presidente francese sceglie l’iconica cantante libanese come primissima tappa del secondo soggiorno in Libano in meno di un mese.

A SOLI DUE GIORNI dall’esplosione che il 4 agosto distrugge parte di Beirut, causa circa 200 morti, 7mila feriti e 300mila sfollati, il 6 agosto Macron arriva a Beirut e si reca immediatamente a Gemmayze, storico quartiere a pochi passi dal porto, empatizzando con la gente del posto, tanto che alcune migliaia di persone pensano bene di firmare la fantasiosa petizione con cui il Libano diventerebbe per altri dieci anni di nuovo protettorato francese. Se ne va in Francia con la promessa di tornare ed è a capo della commissione che accorda 253 milioni di euro di aiuti umanitari al Libano. La promessa è mantenuta, proprio nel giorno in cui il nuovo premier Mustafa Adib viene nominato da ¾ del parlamento.

TRE I MOTIVI DELLA VISITA, ha dichiarato alla stampa lunedì sera: la questione degli aiuti internazionali per la sanità, la scuola, la ricostruzione, che non andranno direttamente al governo, ma in gran parte alle ong sul territorio e a condizione di riforme indispensabili; il centenario del Grande Libano; fare il punto sulla situazione politica.

«La mia posizione è sempre la stessa: esigenza senza ingerenza» e sul premier appena nominato dice che non è «compito mio né approvare né disapprovare (…) piuttosto assicurarmi che un governo di missione sia formato al più presto per mettere in atto le riforme contro la corruzione, per la giustizia, per l’energia elettrica, per una migliore gestione del porto, della banca centrale e del sistema bancario». Quindi visita e nomina sono una coincidenza.

Macron sceglie Feiruz non a caso. La cantante 85nne, ormai lontana dalle scene, non è una semplice artista, ma incarna lo spirito di una libanesità che va oltre i confini settari. È apprezzata in Libano da cristiani, sunniti, sciiti, drusi, ed è l’artista libanese più conosciuta al mondo. Durante la guerra civile (1975-90) non ha mai lasciato quel Libano che ha cantato nelle canzoni (spesso riflessioni amare e sarcastiche sulla guerra) scritte per lei dai fratelli Rahbani -ha sposato Assi Rahbani- e poi dal figlio Ziad. Come succede per i simboli e gli archetipi, tutti hanno qualcosa per cui riconoscersi in Fairouz. Macron lo sa e va da lei.

AI MANIFESTANTI che fuori casa dell’artista mostrano striscioni con scritto «Non essere dal lato sbagliato della Storia», «Nessun governo con degli assassini», «Adib no» Macron promette che farà di tutto «affinché le riforme siano implementate. (…) Non vi lascerò!».

 

Foto Ap

 

Poi incontra brevemente Hariri e il neo-premier Adib, dal quale si aspetta un governo di missione. Ieri mattina per il centenario della fondazione da parte della Francia del Grande Libano sotto mandato francese, pianta un cedro – altro simbolo del Libano – a Byblos. È al porto col presidente Aoun. Al suo arrivo al palazzo presidenziale l’aviazione militare francese colora il cielo col verde, bianco e rosso della bandiera libanese. Nel pomeriggio vede l’influente patriarca maronita al-Rai e si reca all’ospedale Rafiq Hariri.

 

foto Ap

 

TRE MESI PER METTERE IN ATTO le riforme che garantiranno l’accesso ai fondi stanziati dalla comunità internazionale e nel caso non si procedesse in questa direzione il capo dell’Eliseo annuncia sanzioni. Tornerà a Beirut a dicembre per la terza volta e accoglierà a Parigi una conferenza internazionale sul Libano a metà ottobre.

Nel pomeriggio di ieri centinaia di manifestanti a Piazza dei Martiri a Beirut hanno tentato di forzare le barricate e occupare il parlamento. Per loro Adib è l’ennesima presa in giro. La polizia ha disperso la folla con lacrimogeni e proiettili di gomma. È bizzarro notare che la Francia munisce la Difesa libanese di gran parte delle forniture militari tra cui quelle ritenute illegali da Amnesty International e altre organizzazioni abbondantemente usate nelle proteste.

 

Le proteste di ieri contro la nomina del nuovo premier Adib (Ap)

 

Ghassan Tueni definì nel 1985 il Libano il paese della guerra degli altri, riferendosi alla guerra civile. Finita la guerra, il Libano è rimasto il paese degli interessi degli altri.