«Attaccheremo in luoghi inaspettati», tuona contro Israele Hashem Saifeddine, capo esecutivo del consiglio di Hezbollah, in occasione dei funerali di Mohammad Nasser, conosciuto come Hajj Abu Nahme, importante comandante della milizia sciita ucciso mercoledì da un drone israeliano ad al-Hosn nei pressi di Tiro, nel sud del Libano. Migliaia in strada per l’ultimo saluto nella periferia a sud di Beirut, roccaforte del partito-milizia.

Le ostilità in queste ore sono intense da una parte e dall’altra del confine. Hezbollah ha risposto all’uccisione di Nasser lanciando oltre 200 missili sulle alture del Golan occupate da Israele nel 1967. Israele che ha attaccato varie località a ridosso del confine: Naqora, Kfar Shouba, Kfar Hammam, Sheeba (Hasbaya) Khiam (Marjayoun) e la periferia a sud di Tiro.

DALL’INIZIO DEL CONFLITTO l’8 ottobre – il giorno dopo l’attacco di Hamas – tra l’esercito israeliano e Hezbollah nel sud del Libano e nel nord di Israele, sono circa 365 i miliziani di Hezbollah uccisi, tra cui molti quadri importanti. I numeri sono più pesanti dalla parte libanese: oltre 700 i miliziani delle varie brigate uccisi, 3 giornalisti, una ventina di vittime nel personale medico e paramedico, circa 2mila feriti, 96 i civili libanesi morti. Dalla parte israeliana una ventina i soldati uccisi e una sessantina i feriti.

L’Organizzazione mondiale per le migrazioni stima 100mila sfollati da una parte e altrettanti dall’altra che al momento non hanno idea di quando potranno fare ritorno nelle proprie case.

Mai come in questo momento il pericolo di un’estensione del conflitto a tutto il Libano è stato così alto. Il ministro della difesa israeliano Gallant, lo stesso Netanyahu hanno in più occasioni annunciato che gli addestramenti per un attacco di ampia portata in Libano sono terminati e che l’esercito aspetta solo il via.

NASRALLAH, LEADER SUPREMO di Hezbollah, ha risposto nel suo ultimo discorso pronunciato due settimane fa in memoria del comandante Taleb Abdullah, altro quadro importante eliminato da Israele: «Combattiamo la più grande battaglia dal 1948 ad oggi. Una battaglia che promette un orizzonte nuovo a tutta la regione. (…) Abbiamo la capacità militare, umana e materiale di vincere il nemico. (…) Dovranno, in caso di guerra totale, aspettarsi attacchi di terra, d’aria e di mare. L’invasione della Galilea del nord è un opzione in tale circostanza». La condizione che pone Nasrallah per la fine delle ostilità è un cessate il fuoco duraturo a Gaza. Netanyahu potrebbe utilizzare un conflitto in tutto il Libano – in pratica attaccando Beirut – come una mossa per rimanere al potere dopo la fine eventuale del conflitto a Gaza, vista l’ormai crescente opposizione interna civile e politica.

INTANTO SONO GIORNI che l’aviazione israeliana sfonda il muro del suono in Libano. Ieri verso le 11 locali il rombo dei motori ha assordato Beirut. La pratica, non nuova e ormai ben nota ai libanesi, fa parte di una strategia della tensione e del terrore, utilizzata in tempi di guerra, ma anche di relativa pace. La guerra, prima ancora di essere militare, diventa così uno strumento di pressione psicologica ed è questo il clima di incertezza e smarrimento che si respira nel paese, accompagnato dall’idea che da un momento all’altro potrebbe succedere qualunque cosa.

Molte le ambasciate che consigliano ai propri concittadini di non venire nel paese o di lasciarlo in via precauzionale. Lufthansa ha intanto cominciato a tagliare i voli notturni per Beirut: l’aeroporto è certamente l’obiettivo più sensibile. Una volta colpito, il paese si troverebbe nell’isolamento totale, visto che il porto di Beirut è solo in parte attivo e per funzioni commerciali dopo la devastante esplosione del 4 agosto 2020. E la fuga via terra è praticamente impossibile: il Libano confina a nord e ad est con la Siria ancora in guerra civile, a sud con Israele e a ovest con il mare.

LA DIPLOMAZIA internazionale, specie quella americana e francese, si sta spendendo affinché la «guerra totale» resti solo strategia retorica e non diventi realtà. È chiaro che estendere la guerra a tutto il Libano vorrebbe dire toccare interessi economici e politici che vanno ben oltre i confini del piccolo paese e che vanno dalla Francia agli Stati Uniti, dall’Iran all’Arabia Saudita. Varie milizie sia sciite che sunnite si riverserebbero nel paese per combattere con Hezbollah.

All’interno del paese, già devastato da una crisi economico-finanziaria da ormai cinque anni, dall’assenza di un presidente della Repubblica e dal conseguente stallo politico, le spaccature già profondissime, oltremodo acuitesi ultimamente tra il blocco pro e quello anti-Hezbollah (in particolar modo la destra cristiana ultra ortodossa delle Forze Libanesi e del Kataeb) porterebbero a ulteriori disordini dagli esiti imprevedibili.