Mentre Israele dichiara che ci sono «basi per buon un accordo su Gaza», il ministero della Salute di Gaza ha annunciato che i morti nella Striscia dall’inizio dell’invasione israeliana hanno superato i 38mila morti. Solo nelle ultime 24 ore, sempre secondo fonti gazawi, i morti sarebbero 58.

Israele dal canto suo ha dichiarato di aver bombardato «oltre 50 siti nella Striscia appartenenti a gruppi di miliziani». La notizia è stata riportata dal Times of Israel che a sua volta cita fonti interne alle forze armate israeliane. I raid dei caccia continuano mentre la fanteria israeliana continua le operazioni di guerra a Gaza City, a Rafah e a Netzarim. A Shejaiya, uno dei quartieri orientali di Gaza City, le truppe di Israele sostengono di aver ucciso decine di uomini armati sia in scontri ravvicinati sia grazie ai mezzi corazzati. Inoltre, l’aeronautica israeliana ha lanciato degli ordigni contro due scuole dell’Unrwa (l’agenzia delle Nazioni unite per il sostegno ai palestinesi) che, secondo i portavoce militari dell’esercito israeliano erano «utilizzate come quartier generale di Hamas, da cui venivano dirette e lanciate le sue operazioni contro le forze israeliane». Nello specifico si tratta delle strutture educative di Al Qahirah ad Al Furqan e Musa a Tuffah.

Le stesse fonti della Difesa di Netanyahu hanno anche annunciato la morte di due soldati israeliani a Gaza city, portando il bilancio provvisorio dei caduti militari israeliani a 324.

Intanto, in Cisgiordania, il governo di Tel Aviv ha approvato la costruzione di 5.300 nuove abitazioni e l’espansione di tre insediamenti. È quanto denuncia l’organizzazione israeliana contraria all’occupazione dei territori palestinesi Peace Now. La quale ha scritto in una nota che il Consiglio superiore di pianificazione, incaricato dell’edilizia israeliana in Cisgiordania, ha approvato «ieri e oggi l’espansione degli insediamenti nel cuore della Cisgiordania e la legalizzazione di tre avamposti: Mahane Gadi, Givat Hanan e Kedem Arava, considerati ‘quartieri’ di insediamenti esistenti».

In questo contesto catastrofico, tuttavia, ieri il premier Netanyahu ha dato il via libera all’invio di una delegazione per negoziare l’accordo di pace con Hamas. Secondo le prime indiscrezioni, l’autorizzazione a trattare è stata concessa in virtù del fatto che Hamas avrebbe ritirato la sua richiesta di un cessate il fuoco come condizione indispensabile per il rilascio degli ostaggi.

Tuttavia, sia di fronte ai media israeliani sia al telefono con il presidente Usa Joe Biden, Netanyahu avrebbe detto che la «guerra continuerà fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi». Il portale libanese Al Mayadeen, considerato vicino a Hezbollah, invece, ha dichiarato che Hamas non ha intenzione di cedere sul cessate il fuoco definitivo.

Il portavoce di Hamas, Jihad Taha, ha affermato che il suo gruppo sta «affrontando positivamente» gli sforzi di Egitto e Qatar per concludere un accordo che porti al rilascio degli ostaggi e a una tregua. In ogni caso, come rivelano fonti israeliane, anche se i negoziati dovessero andare a buon fine, ci vorranno «almeno 2 o 3 settimane» affinché la guerra si fermi.