L’Amazzonia brucia, ma per Bolsonaro non è vero
Brasile Dall’agosto 2019 al luglio 2020 in cenere altri 9.205 km² di foresta (area pari al Libano)
Brasile Dall’agosto 2019 al luglio 2020 in cenere altri 9.205 km² di foresta (area pari al Libano)
L’Amazzonia è di nuovo in fiamme e il timore è che sarà anche peggio dello scorso anno. I dati satellitari diffusi dall’Inpe (Istituto nazionale di ricerche spaziali) hanno registrato, solo nei primi dieci giorni di agosto, 10.136 roghi, con un aumento del 17% rispetto allo stesso periodo dell’anno passato. E già il mese di luglio aveva segnato un aumento di ben il 28% rispetto allo stesso mese del 2019, con un totale di 6.803 roghi. La reazione di Bolsonaro è stata quella che ci si poteva attendere: «Una foresta tropicale si preserva da sé. Essendo umida, non può prendere fuoco. La storia dell’Amazzonia in fiamme è una menzogna», ha dichiarato l’11 agosto al II° Vertice dei paesi che condividono la foresta pluviale più grande del pianeta.
Il mese scorso, all’inizio della «stagione degli incendi», il governo aveva in realtà stabilito il divieto di accendere roghi per 120 giorni, ma il provvedimento non è servito a molto. «Il contrasto agli incendi inizia dal controllo della deforestazione», sostiene infatti la direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia Ane Alencar, spiegando come i roghi divampino in aree già precedentemente disboscate, al fine di ripulire il terreno dalla vegetazione rimasta per adibirlo al pascolo o alle coltivazioni. «E questo avviene con o senza il divieto di appiccare il fuoco».
Ma è proprio la lotta alla deforestazione a non rientrare nelle priorità di Bolsonaro, il cui sogno, piuttosto, è quello di «sfruttare le ricchezze dell’Amazzonia in collaborazione con gli Stati Uniti». Che è esattamente ciò che il presidente ha confidato a uno sconcertato Al Gore durante il Forum economico mondiale del 2019, secondo quanto emerge da una scena del documentario tedesco «Il forum» diventata virale nel paese.
È rientrato invece l’allarme suscitato venerdì dall’annuncio del ministro dell’Ambiente Ricardo Salles – lo stesso che aveva perorato la rapida approvazione di misure «infra-legali» di deregolamentazione ambientale approfittando della distrazione provocata dalla pandemia – riguardo alla sospensione di tutte le operazioni di contrasto al disboscamento e agli incendi in Amazzonia e nel Pantanal, per il blocco di 60 milioni di reais destinati all’Ibama (Istituto per l’ambiente) e all’IcmBio (Istituto di conservazione della biodiversità). Di fronte al coro di reazioni negative, il ministro ha fatto subito marcia indietro, annunciando già in serata lo sblocco dei 60 milioni di reais. Non meraviglia allora che, dall’agosto 2019 al luglio 2020, altri 9.205 km² di foresta – un’estensione pari circa a quella del Libano – siano stati spazzati via (rispetto ai 6.844 km² dell’anno precedente), benché il vicepresidente Hamilton Mourão abbia esultato di fronte al dato di luglio: 1.654 km² persi – un’area superiore alla città di São Paulo – rispetto ai 2.255 del luglio 2019. Una presunta «inversione di tendenza» ottenuta, a suo dire, grazie alla costosa operazione militare «Verde Brasil», da lui stesso diretta, attiva già da tre mesi contro deforestazione e incendi.
A contestare l’efficacia dell’invio dell’esercito in Amazzonia sono invece più di 60 organizzazioni della società civile, che, in una lettera ai presidenti di Camera e Senato, agli investitori stranieri e ai parlamentari brasiliani ed europei, propongono misure di emergenza alternative: divieto di deforestazione per almeno 5 anni; inasprimento delle pene per i reati ambientali; ripresa immediata di quel Piano di controllo del disboscamento in vigore per cinque mandati presidenziali prima di essere affossato da Bolsonaro; demarcazione delle aree indigene e quilombolas e creazione di nuove aree protette; ristrutturazione degli organismi ambientali.
L’iniziativa delle organizzazioni non deve essere affatto piaciuta al ministro Salles: «I panni sporchi si lavano in famiglia», ha detto, aggiungendo che, se il governo soffre all’estero di un’immagine negativa, con conseguente calo degli investimenti stranieri, è tutta colpa della «disinformazione» sull’Amazzonia.
Ma se l’immagine del governo all’estero non è delle migliori, Bolsonaro può almeno consolarsi con l’aumento di popolarità a casa propria, mai così alta dall’inizio del mandato presidenziale: dall’ultimo sondaggio di Datafolha, è il 37% della popolazione a considerare buona o ottima la sua gestione governativa, contro un 34% che la valuta negativamente. Un effetto, in gran parte, del sussidio di emergenza di 600 euro concesso dal governo a 66 milioni di persone di basso reddito, per una spesa totale di 50 miliardi di reais. Abbastanza, pare, per far dimenticare la disastrosa gestione della pandemia, le minacce di autogolpe, gli scandali di corruzione e, appunto, la distruzione della foresta amazzonica.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento