Se l’avvento del terzo governo Lula, dopo l’inferno del bolsonarismo, aveva suscitato enormi aspettative di riscatto dei diritti dei popoli indigeni, l’attuale presidente sembra che stia facendo di tutto per tradirle. L’ultimo clamoroso segnale di allontanamento Lula lo ha inviato venerdì scorso a Campo Grande, nel Mato Grosso do Sul, durante un evento realizzato nella fabbrica del colosso della carne Jbs, principale responsabile della devastazione del Cerrado.

Celebrando la prima spedizione di carne alla Cina da parte dello stabilimento, in procinto di trasformarsi nel più grande impianto di lavorazione della carne bovina dell’America Latina, Lula ha colto l’occasione per proporre al governatore dello stato Eduardo Riedel, presente all’evento, di comprare «in società» aziende agricole della regione per collocarvi le famiglie guarani e kaiowá in situazione di vulnerabilità estrema, come se tale eventualità potesse rispondere alle necessità di base dei due popoli originari.

UNA RICHIESTA, peraltro incostituzionale, che è piaciuta molto al governatore Riedel, già presidente della Federazione dell’agricoltura e dell’allevamento del Mato Grosso do Sul, nonché uno degli ideatori di quell’iniziativa dei latifondisti dello stato, nota come “Leilão da resistência”, che nel 2013 si era proposta di mobilitare i fazendeiros contro le comunità indigene. E gli è talmente piaciuta da divulgare sui social network un video in cui insiste sulla necessità di dare un seguito alla proposta in ambito legislativo e giudiziario.

Tutt’altro che contenti, invece, sono stati i leader indigeni e i loro alleati, che tutto potevano aspettarsi da Lula tranne che proponesse l’acquisto di terre per gli indigeni anziché procedere a demarcarle secondo quanto previsto dalla Costituzione federale, acquisendo semmai, al contrario, terre non occupate tradizionalmente dai popoli originari per insediare i non indigeni “in buona fede” penalizzati dalle demarcazioni. Con l’aggravante, per di più, che Lula abbia avanzato la sua proposta dopo aver già mostrato un atteggiamento sorprendentemente rinunciatario di fronte all’imposizione da parte del Congresso della famigerata tesi del marco temporal, in base a cui avrebbero diritto alla terra solo i popoli originari in grado di dimostrare la loro presenza nell’area rivendicata al momento della promulgazione della Costituzione, il 5 ottobre del 1988.

SE DUNQUE nel 2004, in un discorso realizzato durante una cerimonia di omologazione di alcune aree indigene, Lula aveva esplicitamente riconosciuto il debito storico del paese nei confronti dei popoli guarani e kaiowá, vent’anni dopo, al suo terzo mandato, il presidente sembra aver capitolato agli interessi della potentissima lobby dell’agribusiness.

A NON CAPITOLARE sono però i due popoli originari, che, dopo aver lottato contro le due maggiori potenze del periodo coloniale, la Spagna e il Portogallo, portano avanti anche nel presente la loro resistenza, attraverso auto-demarcazioni e occupazioni di terre. Quelle terre, sottolinea in una nota il Cimi, il Consiglio indigenista missionario, a cui è indissolubilmente legato «il senso della loro esistenza e identità»: un «senso di appartenenza incondizionato, non negoziabile e trasmesso di generazione in generazione».

I guarani e i kaiowá, tuttavia, non sono i soli a esprimere perplessità sull’operato del governo. Persino un alleato di Lula come il leader yanomami Davi Kopenawa, che pure lo ha difeso nel suo recente viaggio in Italia, al punto da chiedere al papa di «aiutarlo» a salvare il suo popolo, ha affermato lunedì, riguardo all’operato del governo, di «cominciare a preoccuparsi». E ne ha tutte le ragioni.
A più di un anno dalla massiccia, spettacolare e molto pubblicizzata operazione diretta a liberare il territorio yanomami dai cercatori d’oro

illegali e a far fronte all’emergenza sanitaria sofferta dalla popolazione, i gruppi di minatori armati appartenenti a bande criminali organizzate sono tornati e hanno ripristinato i vecchi siti di estrazione. «Tratteremo la questione di Roraima, la questione indigena e la questione degli yanomami come una questione di Stato», ha promesso Lula. E davvero ne va della sua reputazione.