Con Luigi Saraceni viene a mancare una delle figure più limpide e generose di Magistratura Democratica. Luigi ha impersonato per molti decenni un modello esemplare di magistrato, per il suo impegno costante a sostegno dei valori del giusto processo e delle garanzie delle persone contro l’arbitrio giudiziario. Il garantismo fu per lui molto di più di un insieme di regole a tutela dei diritti fondamentali. Fu soprattutto il frutto di una scelta morale, che comportava un atteggiamento esistenziale di rispetto, di empatia e di umana comprensione e solidarietà con le persone giudicate, soprattutto se deboli e senza difese. Luigi non amava, anzi detestava il potere che era chiamato ad esercitare. E proprio per questo vedeva, nelle garanzie, i limiti indispensabili e preziosi contro i suoi possibili abusi.

Fu tra i fondatori di Magistratura Democratica, cui seppe imprimere taluni connotati che oggi è necessario ricordare: il mutamento di stile nei rapporti con la società – basti pensare ai dibattiti pubblici sulla giustizia, allora un’assoluta novità, e alle contro-inaugurazioni dell’anno giudiziario da Luigi promosse a Roma in tutti i primi anni Settanta -, rispetto alla vecchia figura paludata e supponente del magistrato, sedicente apolitico ma in realtà apertamente reazionario; la passione e l’entusiasmo autentico da lui portati nella riflessione collettiva che allora sviluppammo, nei tanti nostri incontri e convegni, sul senso nuovo e garantista che, alla luce della Costituzione, volemmo associare alla funzione giudiziaria; il radicalismo, spesso frainteso come estremismo, delle sue battaglie civili e politiche a sostegno delle garanzie e contro le disuguaglianze classiste che affliggono da sempre la nostra giustizia penale; gli affetti profondi e contagiosi di amicizia autentica, di cui Luigi era capace e che riusciva a trasmettere al nostro piccolo gruppo di eretici e a cementarlo al di là dei dissensi che sempre l’hanno attraversato.

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Furono questi connotati che fecero di Magistratura Democratica, allora un’esigua minoranza, il gruppo culturalmente egemone nell’Associazione dei magistrati. Fu grazie ad essi che MD contribuì alla maturazione, tra i magistrati, del valore costituzionale dell’indipendenza, sia esterna che interna all’ordine giudiziario, e del ruolo di garanzia dei diritti, dell’uguaglianza e della dignità della persona quale fonte di legittimazione della giurisdizione.

Indipendenza e garantismo sono sempre stati, per Luigi Saraceni, incompatibili con ogni forma di difesa della corporazione dei giudici. Luigi fu tra i principali sostenitori della rottura delle solidarietà corporative, promuovendo la critica pubblica, anche da parte dei magistrati, delle violazioni delle garanzie messe in atto dai loro colleghi.

Quelle critiche, dicevamo, sono un fattore indispensabile di responsabilizzazione e democratizzazione della funzione giudiziaria. Ricordo la critica analitica del processo contro Pietro Valpreda in un volume del 1973 scritto interamente da magistrati e da lui voluto e coordinato, Valpreda + 4. Anatomia e patologia di un processo, che fece scandalo quale indebita “interferenza” ma che smontò, con estrema chiarezza e precisione, tutti gli elementi della montatura giudiziaria seguita alla strage di piazza Fontana. E, ancora di recente, la critica durissima della sentenza di condanna in primo grado di Mimmo Lucano, motivata, anziché da prove, da una massa scandalosa di insulti contro l’imputato.

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Per un breve periodo, negli anni Novanta, Luigi Saraceni fu anche parlamentare. In Parlamento portò lo stesso costume di indipendenza e di rispetto per la legalità che aveva informato la sua professione di giudice. Ricordo le sue battaglie, insieme a Salvatore Senese, contro l’ergastolo e in difesa delle garanzie del corretto processo.

Ma ricordo, soprattutto, la sua richiesta alla Giunta delle elezioni, avanzata nel 1994 in dissenso dal suo gruppo parlamentare e naturalmente caduta nel vuoto, di dichiarare ineleggibile Silvio Berlusconi sulla base dell’articolo 10 della legge elettorale n. 361 del 1957, la quale dispone l’ineleggibilità di “coloro che in proprio, o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato… per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica” quali erano, in maniera esemplare, quelle richieste alle berlusconiane imprese televisive.

Da allora, grazie a questa violazione clamorosa, il conflitto d’interesse è penetrato nella politica ed è entrato a far parte della costituzione materiale del nostro ordinamento. Ed è costantemente cresciuta la distanza tra le battaglie e le prospettive di progresso di allora e la regressione in atto così della nostra giustizia penale come del nostro sistema politico.

(I funerali si svolgeranno oggi, martedì 4 giugno, alle ore 14, presso il Tempietto egizio, ingresso al Verano da Via Tiburtina)