Il passato, per i politici italiani, è quasi sempre uno strumento da adoperare nella lotta politica del presente, spesso come clava. Inutile aspettarsi che il Giorno della Memoria devii dal percorso noto. Nei discorsi della destra al potere anche le virgole vengono passate al microscopio per soppesare l’abiura e la sua sincerità: la sindrome del marrano applicata agli eredi del fascio. Ma anche loro, i Fratelli e le Sorelle d’Italia, soppesano le parole, consapevoli di aver puntati addosso anche gli occhi di quello zoccolo duro che punì Fini proprio per essersi spinto troppo in là nella denuncia delle radici.

MELONI, PRESENTANDO il Museo della Shoah, osa più del solito: «Darà un contributo determinante affinché la malvagità del disegno criminale nazifascista e la vergogna delle leggi razziali del 1938 non cadano nell’oblio». Del resto, se ci sono zone ambigue nel rapporto della premier col passato, non riguardano davvero l’antisemitismo e la campagna razziale. Più di lei e anzi molto più di lei affonda solo il suo antico capocorrente Rampelli, che per la prima volta nella storia dell’ex Msi usa la parola «vergogna». Cita, è vero, tutti i regimi totalitari, però con «nazismo e fascismo in testa» perché furono quei regimi a «sistematizzare giuridicamente l’annientamento del popolo ebraico per poi eseguirlo». Chapeau. Il presidente del Senato La Russa, invece, a oltrepassare un certo limite non ce la fa. «La Shoah fu senza ombra di dubbio il male assoluto», afferma mentre con Liliana Segre, ex deportata e senatrice a vita, visita il binario 21, a Milano, dal quale partivano i treni piombati diretti a Birkenau. Ma a dire chiaramente chi fu artefice di quel male assoluto non ci riesce.

SALVINI, INCORREGGIBILE, ci marcia. La Lega ha proposto venerdì scorso una legge per penalizzare ulteriormente l’antisemitismo, la galera essendo un rimedio buono per tutti gli usi. Il leader leghista la butta sull’appoggio incondizionato a Israele, dribblando così l’imbarazzante vicinanza a formazioni come l’AfD tedesca che di ambiguità nei confronti del passato e del Reich ne conta un certo numero. La Giornata della Memoria, per lui, è un’occasione come tante per fare propaganda. Decisamente meglio il presidente leghista della Camera Fontana: non solo chiama per nome «l’orrore della ferocia nazifascista» ma è tra i pochi a ricordare che responsabili del genocidio furono anche i tanti che restarono a guardare «nell’indifferenza e nella rassegnazione». Un capitolo particolarmente spinoso per gli italiani: «Nessuno mi ha mai chiesto scusa, erano diventati tutti antifascisti», ha ricordato ieri amara Liliana Segre. Per lei la Giornata della Memoria «dura 365 giorni l’anno» ed è una frase che pochissimi tra i politici italiani potrebbero ripetere.

NON È CHE LA SEGRETARIA del Pd sia molto meglio di Salvini quanto a propaganda spiccia. Denuncia «il tentativo pericoloso di riscrivere pagine della nostra storia che sono state il male assoluto» e dice una verità palmare. Ma lo fa guardando alle europee più che alla storia e questo è forse almeno in parte inevitabile di fronte a una ritualizzazione di ciò che non dovrebbe mai essere ritualizzato. Però si potrebbe quanto meno dosare l’uso della memoria come strumento contundente negli scontri del presente.

Il rischio, altrimenti, è che date come la Giornata della Memoria diventino una sagra in cui ciascuno cerca uno spiraglio per smerciare il suo prodotto. Come le pompe funebri Taffo, che, probabilmente per conquistare il cuore dei dolenti e vendere qualche bara in più, se ne escono con un tweet sul «27 gennaio Giorno della Memoria. Sembra che Israele sia smemorato». Un caso estremo ma l’andazzo è questo.

SOLO UNA VOCE si smarca da un coro almeno formalmente unanime. Beppe Grillo, ormai ex leader politico, propone di trasformare il Giorno della Memoria in «Giorno della Dimenticanza e del Perdono». La «reminiscenza d’odio, razzismo e antisemitismo» che oggi impazza, dice in un video su Fb, è «continuamente alimentata dal continuo tramandarsi ricordi di popoli che magari si sono scannati tanti anni fa». Una provocazione, ovvio, ma che indica una piaga reale: l’uso della memoria per perpetuare il passato invece che per superarlo.