Karen Bass sarà la prima sindaca di Los Angeles. La vittoria della 69enne figlia di un postino di Venice rappresenta un’affermazione per i progressisti che, pur dominanti nella metropoli dello stato «blu», in queste elezioni hanno trovato nuovo impulso.

Bass è politica di lungo corso, con un curriculum che comprende sei anni da rappresentante nel parlamento californiano. Dal 2010 ha rappresentato un collegio di Los Angeles a Washington, dove ha guidato il «Black Caucus» del Congresso nonché le commissioni su diritti civili e rapporti con l’Africa, consolidando legami con l’ala liberal del partito semocratico.

Ma le sue credenziali di sinistra antecedono la sua entrata nella politica «ufficiale».

Da studente era stata volontaria per la campagna di Robert Kennedy e militato nelle Brigate Venceremos in solidarietà con la rivoluzione di Cuba, paese che negli anni ’70 ha visitato sei volte. Dopo gli studi, Bass è stata operatrice sanitaria e, come Barack Obama, si è fatta le ossa come «community organizer», attivista di base nella Community Coalition, una associazione contro il disagio a South Los Angeles negli anni del crack dilagante e delle guerre fra gang.

Bass diventa ora la prima donna a guidare la seconda città d’America dopo una combattuta campagna contro il megapalazzinaro italo americano Rick Caruso, costruttore di shopping mall «a tema» come The Americana e The Grove, degno rappresentante della classe imprenditoriale immobiliare sulle cui speculazioni la città è stata costruita generando fortune e distese suburbane.

Caruso ha messo in campo la narrazione del miliardario benevolo, incorruttibile e super partes, che non poteva esimersi dallo scendere in campo per il bene comune.

La sua campagna, costata $110 milioni (di cui 100 provenienti dal suo patrimonio personale), è stata basata sui consueti pilastri conservatori di sicurezza e ordine pubblico per arginare la «dilagante criminalità», ingigantita con strategico allarmismo, cui solo le sue doti imprenditoriali (e l’aggiunta di 1500 agenti di polizia) avrebbero potuto infine porre rimedio.

Una classica campagna di destra (pur avendo cura di sconfessare ogni legame ufficiale col Gop che sarebbe risultato squalificante nella roccaforte democratica di L.A.), con la variante di un’intensa comunicazione verso settori working class ispanici, ritenuti suscettibili al fascino dell’uomo di successo, per tentare di erodere storici consensi democratici.

La strategia (e il fiume di dollari) è sembrata dare i suoi frutti con una rimonta finale di Caruso sull’iniziale vantaggio di Bass.

Alla fine per lei, che due anni fa era stata fra le papabili candidate alla vicepresidenza Biden, si sono rivelati strategici gli endorsement di Obama, Biden, Kamala Harris e Bernie Sanders, e il sostegno dei sindacati che si sono spesi nella campagna.

Soprattutto, anche qui come in centinaia di elezioni nazionali, si è rivelato determinante l’azzardo della corte suprema sull’aborto e la successiva mobilitazione garantista che nel paese ha sgonfiato l’onda rossa e a Los Angeles ha finito per affossare Caruso, iscritto repubblicano fino al 2019 e in passato contribuente a candidati anti abortisti.

Bass subentra all’obamiano Eric Garcetti e prosegue un’amministrazione liberal che dura da almeno vent’anni, senza aver saputo però trovare soluzioni ad annose problematiche, prima fra tutte lo scandalo dei senza casa.

Gli homeless costituiscono una «città ombra» di oltre 60.000 persone divenuta però assai più visibile a partire dai lockdown con ubiqui accampamenti, tende e bivacchi stradali «da terzo mondo».

In realtà si tratta di un fenomeno sempre più integrante del prosperoso occidente e del modello liberista che a fronte di una inarrestabile disuguaglianza ha decimato nelle città ogni rete sociale e appaltato il «contenimento» degli emarginati (compresi migliaia di psicolabili) alle forze dell’ordine. Bass si è impegnata a intervenire sul problema che rischia tuttavia di rimanere irrisolvibile senza il ripristino di un articolato sistema assistenziale che coinvolga il governo statale e federale.

Come in molte città americane, rimane poi centrale la questione della sicurezza e la riforma della polizia, troppo spesso impiegata come forza di controllo sociale (e razziale). Il potere del LAPD (la polizia di Los Angeles, ndr) rimane smisurato e così le forze allineate contro le riforme come quelle chieste da Black Lives Matter nel contesto di un populismo conservatore che soffia strumentalmente sull’allarme «caos e criminalità».

Non sarà facile insomma mediare fra le forze dello sviluppo privato e un necessario intervento sociale capace di introdurre interventi sociali per mitigare i fenomeni che si ripropongono nelle città americane e non solo: gentrificazione, degrado, disuguaglianza e, a Los Angeles, la segregazione così tangibile fra la West Side di Hollywood, Silicon beach e terziario digitale e quelli che Mike Davis definì i «bantustan urbani» nell’anonima distesa metropolitana.

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Con l’insediamento di Bass le quattro maggiori città d’America – L.A., New York, Chicago e Houston – avranno un sindaco afroamericano.

Il suo successo rappresenta inoltre un ulteriore tassello nell’ascesa delle donne afrodiscendenti come forza politica emergente. Con Bass vi sono ora nove sindache nere nelle 100 maggiori città americane e 26 afroamericane nel Congresso, un record che rappresenta una delle principali dinamiche in seno al partito democratico.