Qualche anno fa Adelphi ha pubblicato Sotto una stella crudele, le memorie in cui, con delicata ironia, Heda Margolius Kovály raccontava il tragico destino di sopravvissuta ai campi di concentramento e ai processi politici nella Praga dell’inizio degli anni Cinquanta, quando la sua famiglia venne travolta dallo spietato nuovo ordine stalinista che avrebbe cambiato per sempre la storia della Cecoslovacchia. Dopo una rocambolesca fuga alla fine della guerra e qualche anno di intensa costruzione del socialismo, si apriva per lei, vedova di un nemico del popolo, un lungo periodo di stenti, impossibile da dimenticare: «custodisco il passato dentro di me ripiegato come una fisarmonica, come uno di quei libretti di cartoline, piccoli e ordinati, che la gente porta a casa per ricordo da città lontane».

RUDOLF MARGOLIUS era stato giustiziato nel corso del famigerato processo contro l’inesistente «centro di cospirazione antistatale» diretto dal Segretario generale del Partito comunista Rudolf Slánský. La «colpa» di Margolius, il più giovane tra i condannati a morte, era quella di aver gestito, in quanto viceministro del Commercio estero, le relazioni con i paesi occidentali. Il processo, caratterizzato da grottesche confessioni estorte con la forza, fu seguito in tutto il mondo e terminò con la condanna a morte di undici comunisti (tra cui lo stesso segretario generale) e tre condanne all’ergastolo. L’antisemitismo dell’intero processo era sancito dal fatto che ben undici dei quattordici accusati fossero definiti «di origine ebraica».

Si tratta di un episodio conosciuto grazie al successo avuto dalla pubblicazione delle testimonianze di sopravvissuti e parenti: la Confessione di Arthur London (da cui fu tratto nel 1970 l’omonimo film di Costa-Gavras), il rapporto di Josefa Slánská o la testimonianza di Eugen Löbl.

Poldi, editore piccolo ma battagliero, ha ora tradotto le memorie del figlio di Heda e Rudolf, Ivan Margolius (Riflessi di Praga pp. 336, euro 22). Proprio quel bambino di cui Heda parla a lungo nelle sue memorie, a cui aveva a lungo nascosto la causa della morte del padre e, su desiderio del marito, cambiato il cognome con quello del secondo marito (Kovály). L’autore, emigrato nel 1966 in Inghilterra, è un noto architetto e autore di diversi volumi, tra i quali una monografia sulla visionaria concezione architettonica di Jan Kaplický.

Riflessi di Praga racconta la sua ricerca del padre, l’impossibile speranza di rincontrarlo su quella macchina su cui immagina di salire all’inizio e alla fine del libro. Attraverso materiali d’archivio, ricordi di famiglia, atti del processo, Ivan Margolius cerca di ricostruire non solo le peripezie dei genitori ma anche di dare un senso alla propria vita, segnata dall’avvenimento che gli aveva gettato addosso «una nera nube di inquietudine» che «non se ne andò mai più».

LO STILE SOBRIO e allo stesso tempo partecipe offre una testimonianza su un avvenimento che ha travolto varie generazioni. Ma che non va dimenticato perché, come dice Ivan Margolius nella lettera ai genitori posta in calce al libro «la costruzione di un futuro sicuro per l’umanità nell’ulteriore sviluppo del mondo è impossibile senza uno scrupoloso studio degli avvenimenti passati».